Terremoto: paura e speranza
Tra le macerie ci sono storie anche simili a miracoli
“È cattivo perché ti toglie sonno e sogni”. Questo è il terremoto, mi diceva un’anziana signora senza trovare mai il coraggio di nominarlo. Quando giungevamo al punto del discorso in cui quella parolina doveva essere pronunciata abbassava lo sguardo e con un sospiro riusciva a trasmettermi la sofferenza di chi ha perso tutto, anche a distanza di quasi 40 anni. Aveva vissuto la tragedia dell’Irpinia e teneva vivo il terrore in quei suoi grandi occhi scuri quasi a voler rassicurarmi che la sua vita fosse andata avanti fino ad oggi senza chissà quale pretesa di trovare una serenità.
Mura crollate insieme ai sogni, calcestruzzo mischiato ai sacrifici di chi, anche dopo 50 anni, era riuscito a costruirsi la casa della propria vita.
Il terremoto non cambia solo la geografia dei luoghi ma devasta le storie personali di chi li vive. Una sconfitta per tutti con l’assurda atrocità di non avere neanche un mandante visibile col quale prendersela. Stamattina lo abbiamo visto tutti quell’orologio fermo alle 3.36 nel paese del sugo famoso in tutto il mondo o le parole di quei sindaci pieni di dolore e dignità di chi non deve e non può mollare ora. Che paradosso: avevano ricevuto dai loro concittadini, che conoscevano uno per uno, il mandato di migliorare le loro vite ed ora si trovano ad allestire le camere ardenti dei loro figli. Le immagini che scorrono sono più simili ad un bombardamento che a qualcosa che abbia a che fare anche lontanamente con la parola Natura. Quanto può essere terribile vivere l’angoscia di non sapere nulla dei propri cari mentre con gli occhi scruti da lontano quei soccorritori che scavano a mani nude e vedi la striscia gialla di quelle divise che ora dopo ora lascia spazio solo al fango? Nel buio pesto di una giornata terribile ci sono, però, storie simili a miracoli, che ogni ora provano a tenere vive quelle piccole fiammelle di speranza. Come quella di due fratellini di 4 e 7 anni che, rimasti intrappolati sotto le macerie, sono stati messi in protezione dalla loro nonna sotto il letto per evitare di essere colpiti. Me la immagino quella nonna che non ci ha pensato neanche un secondo quando ai soccorritori ha quasi imposto di salvare prima quelle due anime e solo successivamente di riuscire a tirare fuori dalle macerie anche lei. Prima di qualsiasi cifra ci sono famiglie, storie, persone. Nel momento del dolore più atroce c'è l’Italia che diventa una grande famiglia che si abbraccia.
Giusto qualche ora fa, in quella via crucis dell’estrazione dei cadaveri, hanno ritrovato una coppia rimasta avvolta ancora in un abbraccio, schiacciati dalla loro stessa casa. Nella tragedia della morte trova spazio la forza dell’amore. Quasi in una sorta di ironia tragica della sorte questo gesto mi ha riportato alla mente la tragica eruzione di Pompei, dove negli scavi puoi trovare ancora intatti due amanti stretti in un simile abbraccio. Quasi come una commemorazione che vuole prenderci in giro, accade nello stesso giorno di quel fatidico 24 agosto del 79 d.C.
La grande sfida della solidarietà riesce a zittire persino quella parte (esigua) contraddistinta da una terribile stupidità, più di pancia che di testa, che in queste ore va ad arricchire uno sciacallaggio senza senso, a volerci quasi ricordare-come suggerisce qualcuno-che anche Darwin era stato troppo ottimista.
Non ci bastavano i farabutti che andavano a rubare profittando delle tragedie. Oggi ne abbiamo altrettanti che arricchiscono il proprio pensiero (da bar) nel web in una sorta di gerarchia del dolore che trova, però, una netta risposta nelle colonne di volontari che stanno partendo da ogni angolo di questo Paese o in quelle lacrime del soccorritore per aver sentito delle piccole voci vive sotto la trave o ancora in quell’elicottero che fa la spola con l’ospedale senza fermarsi un attimo oppure alle unità cinofile di fantastici angeli a quattro zampe che in modo silenzioso restano sempre determinanti nelle ricerche.
Eccerto che provi i brividi se guardi che tutti i simboli pubblici ancora una volta sono crollati ancor prima delle case. Oppure se pensi che per una vita intera abbiamo preso in giro i giapponesi perché scattavano foto ad ogni luogo e non siamo stati capaci di rubare loro idee e progetti su architetture e ingegneristica anti-sismica di precisione.
Diamo molte volte il "meglio" solo quando ci scontriamo con l’esigenza di mettere in pratica il verbo aiutare nelle situazioni del "peggio". Ogni giorno incontriamo una quotidanità fatta di cose che bene o male riusciamo a tenere sotto controllo. Oggi no. Almeno oggi dobbiamo riuscire a fare silenzio e, magari, una donazione di qualsiasi tipo. Senza accalcarci in un eroismo che soddisfi più il nostro ego che le lacrime di chi in queste ore ricompatta a fatica i pezzi della propria dignità con la paura di restare abbandonato. Dai beni di prima necessità alla preghiera. In silenzio pure quella.