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Brescia
di MICHELE BUSI 25 apr 2022 09:14

Il sigillo del sangue

“Sento il bisogno, vorrei dire fisico, di una giustizia anche terrena, ma fin d’ora ho l’animo scevro da desiderio d’odio e di vendetta contro qualsiasi”.

Sono espressioni tratte dal diario Emiliano Rinaldini, giovane maestro partigiano, che gli amici dell’Editrice La Scuola pubblicarono per la prima volta nel 1947 con il titolo “Il sigillo del sangue”. Ora, nel centenario della nascita di “Emi”, come veniva chiamato, il diario viene ripubblicato da Morcelliana, arricchito da una pregevole introduzione di Daria Gabusi che ricostruisce il percorso formativo di Rinaldini e lo inquadra nel tema più ampio del “ribellismo cristiano”.

“Il sigillo del sangue” non è uno dei tanti diari scritti da protagonisti della Resistenza: si tratta piuttosto del racconto di un cammino di perfezionamento alla luce del vangelo, di cui il giovane “ribelle per amore” si nutriva quotidianamente.

Emiliano, abbracciata la Resistenza nella “Brigata Perlasca”, una delle formazioni partigiane delle “Fiamme Verdi” impegnate sulle montane bresciane, fu ucciso dai militi fascisti il 10 febbraio 1945 a Belprato di Pertica Alta in Valsabbia, dopo essere stato a lungo torturato. Aveva da poco compiuto 23 anni.

L’impegno nella Resistenza non fu per Emiliano una scelta improvvisata, ma il frutto di un percorso di maturazione che ebbe dei riferimenti importanti.

Anzitutto l’ambiente familiare, a partire dalla madre, Linda Lonati, poi l’ambiente filippino dei Padri della Pace, plasmato dall’opera educativa di padre Giulio Bevilacqua. Rinaldini ebbe come direttore spirituale padre Carlo Manziana, che pagò di persona il suo antifascismo con la deportazione a Dachau. Importanti furono anche l’esperienza di insegnante elementare, cui Emiliano si dedicò con tanta passione e soprattutto l’ambiente de La Scuola Editrice, con l’incontro con don Peppino Tedeschi e Vittorino Chizzolini, divenuto poi amico fraterno. Con altri giovani redattori de La Scuola Emiliano compì un percorso di maturazione cristiana oltre che culturale e trovò nel messaggio evangelico il senso più profondo della propria “rivolta morale”.

L’impegno nella Resistenza per Emiliano era volto non solo a riacquistare la libertà dalla dittatura fascista, ma soprattutto a costruire una società più giusta e solidale. Scriveva: “Sempre più andrò convincendo me stesso e gli altri che il problema capitale è uno solo: ricostruire e rafforzare la coscienza, l’uomo”.

Gli anni del fascismo avevano visto, anche nel mondo cattolico, troppe coscienze addormentate. La guerra era stata l’esito terribile dell’azione di molti violenti, ma anche dell’ignavia di molti che avevano taciuto di fronte alle ingiustizie e ai soprusi. Ora non poteva più essere così.

Osservava Emiliano: “Prima della guerra come era il nostro spirito? così sensibile? Come era tutta la nostra struttura? Così viva e partecipante alla vita sociale? No, certamente eravamo molto diversi. La guerra ci ha posto dinanzi, con la sua crudezza, dei problemi da risolvere, delle crisi da superare... Ci siamo conosciuti ed è sorto in noi il desiderio (vago, prima) e poi il bisogno di fare qualche cosa per risanare questa popolazione del mondo. L’umanità tutta, noi stessi”.

Le pagine del “Sigillo del sangue” costituiscono ancora oggi la testimonianza vissuta di quei valori senza i quali anche un’autentica pace è difficilmente perseguibile.

MICHELE BUSI 25 apr 2022 09:14