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Terra Santa
20 dic 2025 15:07

Dio nasce nel punto più basso della nostra umanità

È il primo Natale da Custode di Terra Santa per padre Francesco Ielpo, eletto lo scorso 24 giugno, da parte del Ministro generale dell’Ordine dei Frati Minori, fra Massimo Fusarelli, con il suo Definitorio e confermato da Papa leone XIV. Un Natale che arriva mentre la guerra continua a segnare Gaza, nonostante un fragile cessate il fuoco, e mentre in Cisgiordania crescono violenze e tensioni. In questo contesto complesso, il Custode riflette sul senso del Natale come tempo di speranza concreta, condivisa e incarnata. Nel suo messaggio natalizio, diffuso il 19 dicembre, padre Ielpo richiama il Bambino deposto nella mangiatoia come segno di un Dio che si fa vicino nella fragilità ed invita a guardare alla Terra Santa con speranza, a pregare per la pace e a riconoscere la presenza di Dio nei poveri e nelle ferite del mondo, accogliendo la luce che nasce.

Padre Ielpo, che Natale sarà quello del 2025 in Terra Santa?
Sarà un Natale diverso. Dopo due anni di guerra, il cessate il fuoco del 10 ottobre resta fragile e non ha fermato del tutto il conteggio delle vittime, ma rappresenta comunque un punto di speranza. Stiamo vedendo, soprattutto in Galilea, a Betlemme e in Giudea, segnali di un desiderio profondo della popolazione – non solo cristiana – di tornare ad accendere le luci, di tornare a fare festa.

L’uomo non può vivere senza festa, senza una gioia che nasce da una speranza rinnovata.

Allo stesso tempo, il Natale dei gazawi sarà molto diverso: resta una situazione drammatica e dolorosa, aggravata anche dalle alluvioni degli ultimi giorni. È un Natale duplice: da un lato la speranza che si riaccende, dall’altro la condivisione del dolore con chi continua a soffrire.

In che modo la liturgia natalizia può diventare un messaggio di speranza credibile e concreto per una popolazione stremata dalla guerra?
La liturgia è di per sé un messaggio di speranza. Il tempo di Avvento è un tempo di attesa e mai come quest’anno questa attesa appare profondamente connessa alla vita reale. Noi siamo attesa di un compimento, della festa vera, quella piena, di cui tutte le altre feste sono solo un riflesso. La liturgia è credibile perché è celebrata da una comunità: un popolo che si raduna attorno all’altare, alla mangiatoia di Betlemme, e sperimenta l’unità e la comunione. È una Chiesa che non ha mai abbandonato il suo popolo.

Il messaggio del Natale è questo: Dio ha posto la sua dimora in mezzo a noi e non la lascerà fino alla fine dei tempi. In qualunque condizione, non siamo soli. E questa è una speranza credibile e concreta.

Il tema del “porre la tenda in mezzo a noi” sembra parlare in modo particolare, anche figurativamente, alla realtà di Gaza e di Betlemme. È questa la parola chiave di questo Natale?
Sicuramente sì, ma da settimane mi accompagna soprattutto un altro dettaglio evangelico: la mangiatoia. Una mangiatoia in una stalla, fatta di fieno, con odori non sempre gradevoli.

Dio non ha paura di nascere nella stalla della nostra umanità.

È questa la grande sfida della fede: credere che, nonostante le tenebre, una luce continua a risplendere.

Dio non nasce in un palazzo o in una reggia, ma nel punto più basso della nostra umanità, anche lì dove c’è il male, di cui l’uomo porta una responsabilità. Ed è lì che lo andiamo ad adorare.

Come vivono questo Natale le comunità cristiane di Betlemme e Gerusalemme, anche alla luce dell’assenza dei pellegrini?
La crisi economica, dovuta alla quasi totale assenza di pellegrinaggi, pesa molto sulla vita quotidiana di tutte le famiglie. Tuttavia questo Natale è segnato da una rinnovata speranza. C’è un’attesa che non è vuota, ma che dice: ‘Ce la faremo anche questa volta’. La solidarietà della Chiesa universale, in questi anni di guerra, ci ha fatto sentire accompagnati. I segnali sono timidi, piccoli, ma reali: qualcosa potrà ripartire con l’anno nuovo.

Che contributo possono offrire le Chiese cristiane per ricostruire la fiducia tra israeliani e palestinesi?
Il primo grande contributo che può dare la Chiesa è mostrare il volto della compassione. Una compassione che patisce con chiunque soffre, perché il dolore riguarda tutti. La Chiesa è chiamata a essere ponte, pacifico e mite, per favorire il dialogo, la mediazione e l’ascolto. A testimoniare che apparteniamo a un’unica umanità, voluta e amata da Dio.

C’è un appello che in questo Natale desidera lanciare ai cristiani del mondo e ai leader politici?
Ai cristiani dico: tornate pellegrini in Terra Santa. Unitevi a quella processione di angeli che scendono ad adorare il Bambino. Venite dove Gesù è nato, ha vissuto, è morto ed è risorto.

Ai leader politici l’invito è a scegliere se essere come Erode, regnante di turno aggrappato al potere, o come i Magi, capaci di seguire la stella, la ragione e il desiderio del bene. Essere ‘magi’ oggi significa cercare una umanità nuova.

20 dic 2025 15:07