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Roma
di DANIELE ROCCHI 13 lug 2025 07:59

Gaza e Srebrenica: non rassegniamoci all’impunità

Nel luglio 1995 il genocidio di Srebrenica. Dopo 30 anni storie analoghe si ripetono a Gaza, in Ucraina e in altri Paesi in guerra. La giustizia penale internazionale (Cig) che risente della reticenza se non dell’opposizione di alcuni Stati, vede svanire il sostegno avuto al tempo di Srebrenica quando nel 2007, riconobbe il genocidio di Srebrenica. L’obiettivo di alcuni Stati è logorare la capacità della giustizia penale internazionale riducendone quanto più l’area di impunità. Ne abbiamo parlato con il magistrato ed esperto di giustizia penale internazionale Alberto Perduca.

Cosa ha da dire Srebrenica all’Europa (e al mondo) dopo 30 anni?

Srebrenica ha da dire tanto. Innanzitutto, occorre non dimenticare che in questo caso la giustizia ha saputo essere paziente ma efficace. A tutt’oggi , a 30 anni da quell’eccidio europeo – commesso in Europa da europei contro europei -, 54 persone sono state incriminate e giudicate e condannate. Ed altri processi potranno seguire. Ciò è avvenuto innanzitutto grazie alla determinazione dei magistrati e degli investigatori del Tribunale penale per i crimini per l’ex Jugoslavia istituito nel 1993 con Risoluzione del Consiglio di Sicurezza. Tra di essi va ricordato Antonio Cassese, uno dei suoi più prestigiosi Presidenti per l’impegno di azione e di pensiero profuso per anni. Secondo questo accademico italiano lo stentato avvio del Tribunale, insieme alla scarsa iniziale collaborazione della comunità internazionale, diedero l’impressione che la sua creazione fosse una sorta di foglia di fico apposta dall’Onu sui fallimenti della politica e della diplomazia per porre fine alla sanguinosa disgregazione della Repubblica Federale Jugoslava precipitata a partire dal 1991. Senonché il Tribunale non rimase affatto una foglia di fico.

Srebrenica risvegliò la coscienza di opinioni pubbliche e Stati?

Non vi è ragione di esserne fieri ma credo sia avvenuto proprio così. L’inizio della fine della tragedia dell’ex Jugoslavia – costata, anche questo non va dimenticato, circa 140.000 morti – fu segnato dall’eccidio di Srebrenica dell’estate del 1995, seguito di qualche settimana dal bombardamento del centro di Sarajevo con decine di vittime di civili. Dopo anni di incertezze ed inerzie vi fu quindi l’intervento della Nato che pose fine nell’autunno di quell’anno al conflitto serbo-bosniaco e, all’inizio del 1996 all’assedio della capitale bosniaca che durava sin dalla primavera del 1992.

Quanto alla giustizia per i crimini contro il diritto umanitario internazionale fu la stessa Nato che prese a ricercare e catturare coloro che erano ricercati dal Tribunale internazionale…

Esatto e i risultati non tardarono. Già nell’autunno 1998 Radsklav Krstic, generale del corpo d’armata serbo -bosniaco che aveva diretto le operazioni di conquista di Srebrenica, seguita dalla caccia e dal massacro di oltre 8000 uomini – compresi vecchi e ragazzi -, venne catturato, incriminato e tradotto a processo dinnanzi al Tribunale de L’Aja. Qui nell’agosto 2001 venne condannato per genocidio ma in appello fu ritenuto responsabile ‘soltanto’ di crimini di guerra. Per contro Ratko Mladic e Radovan Karadzic, rispettivamente comandante dell’esercito serbo- bosniaco e presidente della Repubblica Srpska, a poche settimane da Srebrenica vennero incriminati e quindi condannati, seppur ad oltre 20 anni dai fatti, per genocidio.

Si può mettere in relazione Srebrenica con i massacri di civili a Gaza ad opera di Israele?

Nel caso di Srebrenica la giustizia ha definitivamente stabilito che vi fu genocidio. Nel caso del devastante attacco contro Gaza – seguito al massacro del 7 ottobre 2023 perpetrato da Hamas e che è costato finora la vita ad oltre 50.000 persone- sono assai numerose le fonti di diversa origine che convergono sulla conclusione che nella Striscia vengano perpetrati crimini contro il diritto umanitario internazionale. Del resto, già nell’autunno dello scorso anno il Primo ministro d’Israele e il ministro della Difesa pro tempore sono stati raggiunti dal mandato di arresto adottato dalla Corte penale internazionale per crimini di guerra e contro l’umanità e da allora la situazione a Gaza non ha cessato di degradare. Se l’operazione condotta da Israele integri anche il crimine di genocidio spetta ai giudici accertarlo in un processo da svolgersi in pubblico e nel contraddittorio tra accusa e difesa. È noto che perché vi sia genocidio occorre provare non solo i fatti materiali – quali le uccisioni, le offese gravi all’integrità fisica e mentale, l’imposizione di condizioni di vita insostenibili, etc – ma anche ‘l’intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religiose’. Su questo punto la prova giudiziaria è inevitabilmente destinata ad essere soggetta a forte contestazioni.

Ci sono differenze nella reazione della giustizia penale internazionale di fronte a Srebrenica e a Gaza?

Sì e non di poco conto. Come accennato, pur con ritardo e fatica, per Srebrenica la giustizia penale internazionale ha potuto svolgere il proprio compito ottenendo infine la cooperazione di molti Stati. E poi, anche dopo la fine del mandato del Tribunale penale internazionale la giustizia della Bosnia-Erzegovina ha continuato ad occuparsene e risale ad appena qualche mese l’incriminazione di varie persone per i crimini – imprescrittibili – commessi 30 anni or sono. Questo passaggio di consegne dall’una all’altra giustizia costituisce un’eredità importante.

Per Gaza, invece?

Nel caso di Gaza, alla decisione della Corte penale internazionale di ordinare l’arresto del premier israeliano e del suo ministro della difesa è seguita una reazione radicalmente ostile non solo di Israele ma anche degli Stati Uniti con l’adozione a carico dei giudici e del procuratore de L’Aja di sanzioni comprensive del divieto di ingresso nel Paese nonché di blocco dei patrimoni e delle transazioni, misure queste suscettibili di essere applicate anche alle persone – fisiche e giuridiche – che collaborano con la Corte de L’Aja. Non può non allarmare il fatto che l’’executive order’ presidenziale che decide queste sanzioni le giustifichi considerando l’attività della stessa Corte quale “minaccia alla sicurezza nazionale ed alla politica estera” vera “emergenza nazionale”. Né va trascurato il fatto che all’interno della stessa Ue non mancano Stati che, pur aderendo lo Statuto di Roma, manifestano atteggiamenti di resistenza all’operato dei giudici de L’Aja. Così, per limitarci al mandato di arresto contro il premier israeliano, risale alla scorsa primavera la decisione dell’Ungheria di ricevere quest’ultimo come ospite ufficiale nonostante l’obbligo di dare esecuzione al provvedimento de L’Aja. Come si vede, la giustizia penale internazionale non si confronta più soltanto con le reticenze a sostenerla dei tempi di Srebrenica. Ora, con Gaza è in atto un’azione di radicale opposizione con l’obbiettivo di logorarne la capacità di adempiere a fondo il suo mandato, punire crimini contro il diritto umanitario internazionale riducendone quanto più l’area di impunità.

Crede che, nonostante Paesi che manifestano resistenza all’operato di istituzioni come la Corte dell’Aja, queste ultime abbiano ancora un senso e valore?

Sì, hanno senso e valore e ne sono profondamente convinto. Viviamo una stagione di grande difficoltà della giustizia penale internazionale. Giustizia che si è costruita lentamente. Sono 80 anni che si fa strada l’idea che nei confronti di certi crimini gravissimi non si possa accettare l’impunità. Abbiamo avuto Norimberga e Tokio subito dopo la Seconda guerra mondiale, che non sono modelli di giustizia garantista, equa, ma sono un primo passo in quella direzione. Poi, abbiamo avuto un sonno della giustizia penale internazionale lungo 50 anni. Arriviamo alla soglia degli anni 90 con i due tribunali speciali per l’ex Jugoslavia e il Ruanda dove si riprende quel cammino interrotto cinquant’anni prima. Poi c’è stata la Corte penale internazionale nel 1998 e nel frattempo e anche dopo sono sorte esperienze di tribunali misti composti cioè da giudici nazionali e internazionali che applicavano un diritto composito per intervenire su fatti gravissimi come il genocidio in Cambogia, i massacri a Timor Est, in Sierra Leone e via dicendo. Ecco se accettiamo l’idea che queste giurisdizioni non hanno più senso torniamo a quel lungo sonno di 50 anni che intercorrono tra Norimberga e Sarajevo. Un lungo sonno vorrà dire che continueranno ad esserci crimini che, in mancanza di giudici internazionali, resteranno impuniti. Non dobbiamo rassegnarci a questa idea. Le opinioni pubbliche devono essere vigili e seguire l’evoluzione e le difficoltà dell’attuale giustizia.



@Memoriale di Srebrenica, Foto Consiglio d'Europa 

DANIELE ROCCHI 13 lug 2025 07:59

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