Comunità aperte e inclusive
Abbiamo bisogno di segni di speranza: i giovani soprattutto, le nostre comunità e il nostro pianeta. Viviamo, credenti e non credenti, un tempo di attesa di una speranza che non si fondi solo sul nostro essere migliori, quante volte ci abbiamo provato, ma che osi cercare nei segni dei tempi, che si basi su un incontro, che si nutra di buone notizie. Ne riporto una: il Regno Unito rientrerà nel progetto Erasmus, dopo l’infelice scelta della Brexit. Poca cosa di fronte alla tragedia che l’umanità sta attraversando, ovvero il crepuscolo di un ordine mondiale, tutt’altro che perfetto, ma costruito sulla speranza della rinascita dopo la catastrofe della Seconda guerra mondiale e dopo la caduta del muro di Berlino. Eppure, in questo progetto di costruzione di una comunità pacifica, nel continente che ha causato tanti mali all’umanità e insieme coltivato una quantità immensa di ricchezze culturali, la mobilità degli studenti, ormai allargata a staff, docenti e studenti delle scuole secondarie nel benedetto progetto Erasmus, ha consentito di riprendere lo storico peregrinare per le strade dell’Europa.
Adesso che sarà di nuovo possibile calcare nella veste di pellegrini del sapere il suolo britannico, viviamolo come segno di riconciliazione: riprendiamo fiducia nella potenza dell’incontro, allarghiamo le nostre menti, consolidiamo l’integrazione dell’Europa. Non tutti sono studenti universitari, non tutti possono permetterselo, non tutti credono sia importante, ma ognuno di noi deve rafforzare l’impegno perché cresca in Europa una classe dirigente, di politici, di imprenditori, di educatori, di professionisti, di servitori delle pubbliche istituzioni, fatta di giovani preparati e tesi al perseguimento del bene comune. Di fronte al leader russo che annuncia di voler dialogare solo con una leadership dei paesi europei a lui gradita, abbiamo il dovere di far crescere una comunità democratica, oggi imperfetta e debole per nostra responsabilità, non solo nel momento del voto, ma nella vita quotidiana. Mettiamo una bandiera europea nei nostri profili social, ricostruiamo una comunità aperta e inclusiva verso tutti coloro che hanno scelto di viverci, come nella migliore tradizione della civitas. Saremo riconoscibili non solo individualmente, ma come popolo. Una bandiera con le stelle, come quelle che addobbano le nostre case e le nostre piazze!