Con quale spirito affrontiamo il Natale?
Già da alcune settimane le notti delle città e dei piccoli centri sono colorate dalle lucine delle decorazioni natalizie. In quel buio, interrotto da lampi intermittenti che disegnano abeti, piccole slitte, omini di marzapane, la solitudine sembra disperdersi per lasciare lo spazio alla gioia effimera della visione. Il tempo passa, la società si trasforma, gli esseri umani calibrano il proprio assetto interiore su valori diversi, eppure il Natale resiste e continua a esercitare il potere “speciale” dell’attesa.
Ma oggi con quale spirito affrontiamo il Natale? E soprattutto che cosa rappresenta per i nostri giovani? Cosa abbiamo insegnato loro a proposito di questa festività così straordinaria?
Per molti adolescenti il Natale si presenta come un tempo sospeso, immerso in un rumore di fondo fatto soprattutto di addobbi, acquisti, promozioni e aspettative spesso difficili da soddisfare. Come si conciliano, quindi, tutti questi aspetti con il tempo dell’attesa e il significato profondo di questo giorno? Ai nostri ragazzi abbiamo insegnato a vivere il Natale con ardore di accoglienza e condivisione? Li abbiamo preparati a coltivare desideri che richiedono tempo per essere realizzati?
Ci siamo soffermati, insieme a loro, a riflettere sul tipo di sogni che si associano al Natale, oppure abbiamo lasciato campo libero al consumismo, che ha il potere di trasformare la festa in una vetrina permanente, dove il valore sembra misurarsi in ciò che si possiede più che in ciò che si è?
Sono domande difficili da sciogliere e in qualche modo dolorose, perché evidenziano una crisi di valori che va ben oltre la mancanza di fede religiosa. In questo scenario, il Natale rischia di diventare un rito svuotato, ripetuto più per abitudine che per convinzione.
A tutto questo si aggiunge un clima globale inquietante. Le immagini di distruzione e guerra, che scorrono quotidianamente sugli schermi degli smartphone, non sono più lontane o astratte: entrano nelle case, nelle conversazioni, nei pensieri dei ragazzi. Molti adolescenti percepiscono sempre più al loro fianco lo spettro della precarietà: così diventa difficile immaginare il futuro come uno spazio di possibilità. Il Natale, che dovrebbe essere tempo di pace, viene celebrato in una realtà segnata da conflitti, divisioni e paura.
In questo tempo deludente, si consuma la crisi della spiritualità. Gli adolescenti faticano a riconoscersi in parole e simboli che sentono lontani dalla loro esperienza quotidiana, soprattutto quando non possono appoggiarsi a guide credibili. Eppure, sotto questa apparente distanza, rimane vivo un bisogno profondo di senso, di autenticità, di relazioni vere.
Il Natale può ancora parlare ai giovani, se viene restituito alla sua essenza: fiducia, speranza, accoglienza, gratuità. Valori che non appartengono solo a una tradizione religiosa, ma che toccano il cuore dell’esperienza umana.
Non mancano esempi concreti di come i giovani sappiano incarnare questi valori. Gruppi di adolescenti che, durante l’Avvento, organizzano raccolte alimentari per famiglie in difficoltà; studenti che dedicano parte del loro tempo al doposcuola per bambini stranieri o in situazione di fragilità; ragazzi che scelgono di trascorrere il Natale facendo volontariato in mense solidali o in case di riposo. Azioni spesso silenziose, lontane dai riflettori, ma capaci di generare legami e inclusione.
In questi gesti, piccoli ma potenti, c’è un Natale che resiste al consumismo e alla paura. Un Natale che non nega le ferite del mondo, ma sceglie di attraversarle con responsabilità e cura. Gli adolescenti, quando vengono ascoltati e coinvolti, dimostrano di saper leggere il presente con lucidità e di desiderare un futuro più umano.
Forse il compito degli adulti non è quello di “insegnare” il Natale, ma di creare spazi in cui i ragazzi possano riscoprirlo come esperienza viva: non un obbligo, non una fiaba, ma una possibilità concreta di relazione, di dono e di speranza. Perché anche oggi, anzi soprattutto oggi, il Natale può essere per gli adolescenti un tempo di scelta.