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Brescia
di ADRIANO BIANCHI 20 gen 2018 08:24

Cronaca e uso "proprio" delle parole

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“Se le parole hanno un senso” nessun risarcimento è dovuto laddove non c’è stata alcuna condanna, né di don Angelo né tanto meno della diocesi, né porta a qualcosa di buono andare oltre l’interpretare quello che semmai potrebbe essere un interessamento davanti a “una famiglia che ha subito un disagio e che va aiutata nella fase di crescita del figlio”.

“È assolutamente necessario ridare ai nomi il loro vero significato. Il saggio è prudente − disse Confucio − in ciò che non sa. Se i nomi non sono corretti, le parole non corrispondono alla realtà”. La lezione di Confucio, grande maestro di vita sociale e politica, sull’importanza delle parole è nota. Fa bene a tutti: a chi fa politica, a chi guida la comunità cristiana, a chi amministra la giustizia e anche ai giornalisti chiamati al delicato compito di raccontare la realtà. Non a caso qualche anno fa, in occasione dell’incontro nella memoria di San Francesco di Sales con i giornalisti bresciani, il vescovo Monari partì da questo testo per riflettere sul valore delle parole e il loro senso. Tutti d’accordo sui principi, ma l’applicazione davanti alla cronaca, soprattutto quando si tratta di questioni delicate, è sempre ardua e ricca d’insidie. La semplificazione e il titolo ad effetto la fanno da padrone quando si tratta di chiudere, magari di corsa, un pezzo che “deve” andare in stampa a tutti i costi. Nei giorni scorsi qualche rischio l’abbiamo corso nel racconto di un passaggio giudiziario della vicenda che coinvolge don Angelo Blanchetti, imputato in un processo di abusi su un minore. Anzitutto va detto che il procedimento è in corso e che nessuna sentenza è stata emessa. “Se le parole hanno un senso” significa che ad oggi non c’è alcuna colpevolezza, alcuna pena, alcun risarcimento che tocca l’imputato il quale sarà giudicato a tempo opportuno e che personalmente si assumerà le sue responsabilità davanti al giudizio.

Ogni parola in più è detta a sproposito. Ogni sentenza mediatica di colpevolezza o assoluzione sbrigative non rendono alcun servizio all’accertamento della verità. Non fanno bene a nessuno di coloro che in qualche modo soffrono a causa di questa triste vicenda. Questo vale anche per una qualche eventuale responsabilità civile di enti come la diocesi. Se nessuna colpa è stata accertata e nessuna pena è stata comminata dire che “la diocesi risarcisce” è una forzatura, forse ingenua, ma reale. “Se le parole hanno un senso” nessun risarcimento è dovuto laddove non c’è stata alcuna condanna, né di don Angelo né tanto meno della diocesi, né porta a qualcosa di buono andare oltre l’interpretare quello che semmai potrebbe essere un interessamento davanti a “una famiglia che ha subito un disagio e che va aiutata nella fase di crescita del figlio”. Forse qualcuno non lo rammenta, ma la Chiesa è interpellata ogni giorno a soccorrere chi ha necessità. Alle porte delle nostre Caritas e delle nostre parrocchie giungono in ogni momento bisogni molto concreti. Le famiglie in difficoltà sono molte. In qualche modo a tutte dobbiamo, “in nome del Vangelo” e non “in nome della legge”, attenzione e cura. Una famiglia e un ragazzo che si sono trovate al centro di una delicata vicenda come questa entrano o non entrano in questa attenzione? Come? Si è scritto di accordi definiti soprattutto di soldi. Nulla di stabilito. I modi si troveranno, ma conformi a far sì che chi soffre abbia ristoro. Il resto lo farà la legge e abbiamo fiducia che lo farà con saggezza dando ad ognuno il suo. Infine, dare un nome alle parole, anche in storie come queste, mai dovrebbe dimenticare che esistono persone e comunità che di questo soffrono e davanti a questo si sentono disorientate. E se la chiarezza e la trasparenza hanno il loro valore nella comunicazione, i toni e lo sforzo di narrare la complessità con completezza non sono da meno. Per questo ogni parola deve essere misurata e avere senso, fosse anche solo per il fatto che su questo giochiamo la nostra credibilità di comunicatori e di giornalisti. “Perciò − dice Confucio − quando il saggio nomina qualcosa deve potersi dire così; quando dice, deve potersi eseguire. Nell’uso della parole il saggio non è mai improprio”.

ADRIANO BIANCHI 20 gen 2018 08:24