Disarmami e disarmaci
“Ho il diritto di domandare ‘disarmalo’, se non comincio a domandare ‘disarmami’ e ‘disarmaci’, come comunità? È la mia preghiera quotidiana”. Le parole di padre Christian de Chergé continuano a risuonarmi nella testa. Le ho meditate, con i lettori di “Voce”, al Meeting di Rimini e in particolare durante la visita alla mostra “Chiamati due volte. I martiri d’Algeria”. Padre Christian, priore dell’Abbazia di Tibhirine, venne ucciso con altri sei monaci trappisti nel maggio del 1996. Complessivamente furono 19 i martiri algerini uccisi in attentati terroristici nel decennio nero del Paese (1992-2002). “Chiamati due volte” perché la loro fedeltà alla chiamata di Gesù Cristo attraverso la vocazione si è incarnata in una fedeltà al popolo algerino, vittima anch’esso della violenza e dell’odio, attraverso un ricco dialogo, a diversi livelli, con persone musulmane con cui “hanno fatto corpo”, come ha detto il postulatore della causa di beatificazione, il trappista Thomas Georgeon. La loro fede li ha portati a scegliere di rimanere nel Paese nonostante le minacce, offrendo un insegnamento di speranza e riconciliazione. Come non pensare, oggi, al cardinale Pierbattista Pizzaballa e a Teofilo III, patriarchi cattolico e greco ortodosso di Gerusalemme, che hanno deciso di non ritirare la presenza di suore e religiosi dalla Striscia di Gaza e di non muoversi da lì per stare in mezzo al loro popolo? E “La pace sia con tutti voi: verso una pace ‘disarmata e disarmante’” è anche il tema scelto da Leone XIV per la Giornata mondiale della pace 2026. La pace proposta dal Papa è “disarmata”, perché non basata sulla minaccia o sull’accumulo di armi, e allo stesso tempo “disarmante”, in quanto capace di sciogliere i conflitti, generare fiducia e riconciliare i cuori. Non basta desiderare la pace, è necessario incarnarla nel quotidiano, attraverso uno stile di vita nonviolento, attento alle ferite visibili e strutturali che attraversano la nostra società.
