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di CAMILLO FACCHINI 28 lug 2016 00:00

Diverse sfumature di colore...

Nero, ma calciatore: applausi. Nero, ma povero: insofferenza. Strano mondo il nostro: c’è un calciatore con la pelle scura e se è bravo lo applaudiamo ( e i fischi semmai non perché è nero, ma perché è scarso); c’è un coloured che ci domanda l’elemosina e lo respingiamo...

Nero, ma calciatore: applausi. Nero, ma povero: insofferenza. Strano mondo il nostro: c’è un calciatore con la pelle scura e se è bravo lo applaudiamo ( e i fischi semmai non perché è nero, ma perché è scarso); c’è un coloured che ci domanda l’elemosina e lo respingiamo. Ed entrambi sono stati (a loro modo) migranti, entrambi – fatte le debite proporzioni – hanno rischiato la vita, entrambi “sanno che dovranno lottare due volte: una per mantenersi, una per respingere il pregiudizio ed entrambi per tutta la vita”. In libreria in questi giorni è uscito un volume bellissimo il cui titolo è “La felicità degli uomini semplici”, scritto da Alain Mabanckou, nato nel 1966 nella Repubblica del Congo, cresciuto nella caotica Pointe-Noire, capitale economica del paese Centro Africano e che la madre ha spinto ad abbandonare ed a far rotta sull’Europa. A suo modo, dunque, anch’egli un migrante.

Il virgolettato iniziale sulla doppia lotta tutta la vita è di Alain Mabanckou che alla domanda se un migrante possa mai arrivare all’indipendenza risponde “…io ho capito cosa voleva dire essere nero solo dopo aver vissuto a Parigi; prima era naturale poi è diventato il colore coloniale ed allora ho studiato che significa esser bianco. Il bianco condanna la discriminazione, però non la supera.”

Discriminazione che, alla domanda se per lui ora scrittore affermato non si sia andati oltre, fa dire a Mabanckou “No sono nero”
aggiungendo “adesso trovano modi più raffinati e meno diretti di esser razzisti. È cambiato semmai il grado sociale, quello sì”.
Abbiamo ripreso da La Stampa di Torino questa storia su “La Voce del popolo” perché aiuta a capire quanto sia difficile esser immigrato, anche se di successo come Mabanckou che nel suo libro ha riunito quattordici autori africani consegnando loro un titolo da approfondire, il calcio. C’entra poco con i migranti? Per capire quanto sia difficile ancor oggi vivere in Europa se hai la pelle scura tutto c’entra, anche un libro sul calcio ed ancor più la storia della vita del suo autore.

C’entra perché il calcio azzera le frontiere, esalta l’appartenenza alla propria nazione, è perfetto perché le etnie non decidono nulla semmai decidono il fisico, l’intelligenza e come giochi. Al punto che in Congo, ancora super diviso al suo interno, il cuore alla fine batte per una sola nazionale, dando ragione a chi è convinto che il pallone segue logiche che non ammettono il razzismo. E se in campo, come nella Francia, ci sono sette undicesimi di ragazzi di colore, melting pot tra blanc boeuf e noir, ma che sono i più bravi del Paese, da dove vengono a nessuno importa. E copiare una volta tanto anche nella vita dal calcio?
CAMILLO FACCHINI 28 lug 2016 00:00