L’abbraccio ideale tra Paolo VI e Francesco

All’indomani della scomparsa di Papa Francesco, come non evocare l’esordio della recente autobiografia, titolata significativamente “Spera”, laddove annota: “Il libro della mia vita è il racconto di un cammino di speranza che non posso immaginare disgiunto da quello della mia famiglia, della mia gente, del popolo di Dio tutto. È, in ogni pagina, in ogni passo, anche il libro di chi ha camminato insieme a me, di chi ci ha preceduto, di chi ci seguirà. Un’autobiografia non è la nostra letteratura privata, piuttosto la nostra sacca da viaggio. E la memoria non è solo ciò che ricordiamo, ma ciò che ci ricorda. Non parla unicamente di quel che è stato, ma di quel che sarà. La memoria è un presente che non finisce mai di passare, dice un poeta messicano. Sembra ieri, e invece è domani”: una singolarissima ed efficace testimonianza identitaria, nella consapevolezza di appartenere ad una storia, ad una tradizione particolarmente feconda che viene da molto lontano e che si inoltra sempre più nel futuro ravvicinato ma anche remoto. Ed è proprio anche per questa ragione che intendiamo, seppur fugacemente, alludere alle ascendenze montiniane di Papa Francesco.
Innumerevoli volte Papa Bergoglio ha espresso una profonda e convinta ammirazione per Paolo VI, ravvisandolo quale una guida profetica e maestro per la Chiesa contemporanea. Non è un caso che nell’omelia della beatificazione, il 19 ottobre 2014, così si sia espresso: “In questo giorno della beatificazione di Papa Paolo VI mi ritornano alla mente le sue parole, con le quali istituiva il Sinodo dei Vescovi: «scrutando attentamente i segni dei tempi, cerchiamo di adattare le vie ed i metodi alle accresciute necessità dei nostri giorni ed alle mutate condizioni della società». Nei confronti di questo grande Papa, di questo coraggioso cristiano, di questo instancabile apostolo, davanti a Dio oggi non possiamo che dire una parola tanto semplice quanto sincera ed importante: grazie! Grazie nostro caro e amato Papa Paolo VI! Grazie per la tua umile e profetica testimonianza di amore a Cristo e alla sua Chiesa! Nelle sue annotazioni personali, il grande timoniere del Concilio, all’indomani della chiusura dell’Assise conciliare, scrisse: «Forse il Signore mi ha chiamato e mi tiene a questo servizio non tanto perché io vi abbia qualche attitudine, o affinché io governi e salvi la Chiesa dalle sue presenti difficoltà, ma perché io soffra qualche cosa per la Chiesa, e sia chiaro che Egli, e non altri, la guida e la salva». In questa umiltà risplende la grandezza del Beato Paolo VI che, mentre si profilava una società secolarizzata e ostile, ha saputo condurre con saggezza lungimirante - e talvolta in solitudine - il timone della barca di Pietro senza perdere mai la gioia e la fiducia nel Signore” come pure, canonizzandolo il 14 ottobre del 2018, Francesco abbia definito Paolo VI un “profeta di una Chiesa estroversa che guarda ai lontani e si prende cura dei poveri”, un pastore che ha speso la vita per il Vangelo aprendosi all’annuncio e al dialogo.
In effetti, molti tratti del magistero di Papa Montini paiono rivivere e attualizzarsi nel pontificato di Francesco. A ben vedere, mediante encicliche, allocuzioni, messaggi, Papa Bergoglio riprende le intuizioni chiave di Paolo VI, dal tema del dialogo della Ecclesiam Suam alla passione evangelizzatrice di Evangelii Nuntiandi, sino alla visione di sviluppo integrale globale delineata nella Populorum Progressio, confermando continuità nella Chiesa e declinando quei principi al presente, con un lessico assai attuale e con una rinnovata sollecitudine pastorale.
Come è ben noto, la prima enciclica di Paolo VI, Ecclesiam Suam (1964), tracciò un programma chiaro e lungimirante: la Chiesa doveva prendere più viva coscienza di sé e instaurare un dialogo sincero e costante con il mondo contemporaneo. Montini rappresentava la Chiesa quale madre amorevole che si rivolge a tutti gli uomini incondizionatamente per accompagnarli alla pienezza umana e cristiana. Papa Francesco ha fatto propri questi convincimenti, evidenziando la maternità e la misericordia della Chiesa. Siffatto ideale si riflette coerentemente nello stile pastorale di Papa Francesco: egli parla di una “Chiesa in uscita”, proiettata verso le periferie esistenziali, che non resta rinserrata in sé stessa ma esce dalle “piccole chiesuole” per incontrare ed abbracciare ogni persona. Tale approccio si rivela in continuità diretta con la visione di Paolo VI, che già in sede conciliare esortava a “scrutare i segni dei tempi” e adattare vie e metodi della Chiesa alle esigenze odierne. Se Paolo VI insisteva sul dialogo come “dialogo di salvezza”, un dialogo fondato sulla carità e il rispetto della libertà, Francesco ne traduce e ne attua l’ispirazione promuovendo una appassionata e indefessa cultura dell’incontro. Dai colloqui ecumenici e interreligiosi sino al Sinodo come cammino condiviso, Papa Francesco rende concreta l’intuizione montiniana che la Chiesa, per servire l’uomo, tutto l’uomo e tutti gli uomini, “non annovera nemici” mentre deve instancabilmente “incontrare il mondo e parlargli”. Non si può pertanto non convenire come l’ecclesiologia di Francesco, la Chiesa madre dal cuore aperto, misericordioso e costantemente in dialogo, sia figlia diretta della Ecclesiam Suam di Paolo VI.
Come è altresì ben noto, peculiare e fondamentale del magistero di Paolo VI, è l’esortazione apostolica Evangelii Nuntiandi (1975), incentrata sull’annuncio del Vangelo nel mondo contemporaneo. Papa Francesco la considera esplicitamente un testo essenziale e irrinunciabile, “per me il documento pastorale più grande che è stato scritto fino a oggi”, ha affermato, riferendosi proprio a Evangelii Nuntiandi in occasione del pellegrinaggio della Diocesi di Brescia, il 22 giugno 2013. Non stupisce dunque che la prima esortazione programmatica di Francesco si intitoli Evangelii Gaudium (2013), richiamandosi fin dal titolo alla gioia dell’evangelizzazione prefigurata e promossa da Papa Montini. Papa Francesco cita assai spesso Evangelii Nuntiandi nei suoi interventi, riconoscendovi una sorprendente attualità. Significativamente, parlando ai direttori delle Pontificie Opere Missionarie, afferma di fare proprie alcune emblematiche espressioni di Paolo VI, “attuali come se fossero state scritte ieri” sono le parole con cui Montini auspicava che il mondo ricevesse il Vangelo non da evangelizzatori tristi o scoraggiati, ma da testimoni colmi di passione e di gioia.
In Evangelii Nuntiandi, Paolo VI insisteva che l’annuncio cristiano dovesse essere accompagnato dalla testimonianza di vita: “L’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri”, affermava in quel testo. Tale intuizione trova pieno eco in Papa Francesco, che continuamente richiama i credenti, vescovi, sacerdoti e laici, a riscoprire la gioia del Vangelo e a comunicarla con entusiasmo. In realtà, Evangelii Nuntiandi rappresenta per Papa Francesco una vera e propria bussola: molte delle riforme pastorali che ha avviato erano state in tutta evidenza prefigurate da Paolo VI, e nel corso del pontificato di Papa Bergoglio hanno ricevono un rinnovato impulso ed una coerente realizzazione. La “Chiesa in stato di missione”, cuore del pontificato di Francesco, è il frutto maturo di quel seme piantato da Paolo VI nel 1975.
Per quanto attiene al magistero sociale, la continuità tra i due Papi si rivela parimenti evidente. Paolo VI, con l’enciclica Populorum Progressio (1967), dilatò l’orizzonte della dottrina sociale affermando che lo sviluppo autentico deve essere integrale, cioè riguardare “ogni uomo e tutto l’uomo”. Questa celebre formula riassume la visione cristiana del progresso: non basta la crescita economica, serve la promozione di tutta la persona umana in tutte le sue dimensioni, e una solidarietà che coinvolga tutti i popoli. Papa Francesco ha raccolto con forza questo insegnamento, attualizzandolo dinanzi alle sfide odierne. Emblematico è che proprio nel 50° anniversario di Populorum Progressio egli abbia creato il nuovo Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, quasi a istituzionalizzare l’idea montiniana di sviluppo integrale.
Come ben noto, Papa Francesco ha riproposto quella visione sotto nuove forme: parla di “ecologia integrale” nell’enciclica Laudato Si’, collegando inscindibilmente la cura del creato alla giustizia verso i poveri, e nella Fratelli Tutti richiama la fraternità universale come fondamento di uno sviluppo sostenibile e veramente umano. Sono prospettive che attualizzano coerentemente la Populorum Progressio nelle condizioni del XXI secolo. Come Paolo VI denunciò la scandalosa sperequazione tra popoli ricchi e popoli poveri, così Francesco stigmatizza la “cultura dello scarto” e l’“economia che uccide”, auspicando istituzioni più giuste e più inclusive. E proprio come Montini affermava che la questione sociale è ormai universale, Francesco insisterà sul fatto che siamo tutti interconnessi, “tutti fratelli”, e che nessuno può salvarsi da solo di fronte alle sfide globali. In questo senso, l’opzione preferenziale per i poveri di Papa Francesco è figlia diretta del grido di Paolo VI: “I popoli della fame interpellano oggi in maniera drammatica i popoli dell’opulenza”.
Il rapporto tra Papa Bergoglio e Papa Montini si rivela quindi connotato da una profonda e coerente continuità, ovviamente nella fedeltà creativa e dinamica dello Spirito. Per molti versi Francesco non è limitato ad evocare il suo predecessore, ma ne ha incarnato il magistero aggiornandolo a fronte delle ineludibili e incalzanti sfide attuali. In lui si è rinnovato l’amore di Paolo VI per Cristo, per la Chiesa e per ogni uomo. Come Paolo VI al suo tempo, anche Papa Francesco si è incessantemente posto “all’ascolto dell’uomo contemporaneo” per annunciare il Vangelo della misericordia.
Come non evocare infine le sobrie ed essenziali, ma più che eloquenti espressioni pronunciate da Papa Francesco in occasione della canonizzazione di Papa Montini, alludendo all’esemplarità dell’apostolo Paolo: “Come lui ha speso la vita per il Vangelo di Cristo, valicando nuovi confini e facendosi suo testimone nell’annuncio e nel dialogo, profeta di una Chiesa estroversa che guarda ai lontani e si prende cura dei poveri. Paolo VI, anche nella fatica e in mezzo alle incomprensioni, ha testimoniato in modo appassionato la bellezza e la gioia di seguire Gesù totalmente. Oggi ci esorta ancora, insieme al Concilio di cui è stato il sapiente timoniere, a vivere la nostra comune vocazione: la vocazione universale alla santità. Non alle mezze misure, ma alla santità”.
Ormai nella casa del Padre, l’abbraccio ideale tra Paolo VI e Papa Francesco, testimonia la continuità viva e perenne della Chiesa, una Chiesa che di generazione in generazione cammina sulle strade dell’uomo contemporaneo, annunciando il Vangelo della misericordia, della carità, della speranza.
@Foto Siciliani/Agensir, canonizzazione di Paolo VI
