La gratitudine
Si può essere felici se si è grati. La gratitudine viene prima. Perché tutto è dono; se riconosco questo, non posso che ringraziare”: sono le parole che introducono alla riflessione intitolata “Sulla gratitudine”, l’agile pubblicazione della collana “Sentieri di senso” delle edizioni Qiqajon, fresca di stampa. L’autrice, Silvia Murrai, è da alcuni anni responsabile delle sorelle della comunità monastica di Bose: è lei a indicarci la gratitudine come una delle cose ultime che restano, cioè che contano veramente. Se la gratitudine è associata alla felicità, accade che il suo contrario, la tristezza, possa oscurare il nostro cammino quotidiano, perché ci porta al ribasso, all’oblio del nocciolo della nostra fede, che è l’annuncio di una vita bella. Ma non è solo la tristezza a insidiare il valore della gratitudine: lo fa anche l’invidia, che è etimologicamente l’assunzione di uno sguardo obliquo, di traverso, in direzione del nostro prossimo. E qui sorella Silvia ricorre alla narrazione della vicenda veterotestamentaria di Giuseppe e dei suoi fratelli, che sono ingabbiati dal potere accecante dell’invidia per l’amore del padre verso Giuseppe, amore superiore a quello nei loro confronti. Però all’invidia si può sfuggire efficacemente attraverso l’accettazione dei propri limiti, quindi l’accoglienza di come ciascuno di noi è realmente, compresi i limiti e le debolezze.
Inoltre è la mancanza di consapevolezza a ostacolare un nostro gesto di gratitudine, come accade a nove dei 10 lebbrosi del racconto di Luca (17,11-19), i quali non sembrano rendersi conto di essere guariti, a differenza dell’unico che, consapevole di quanto ha ricevuto, torna indietro per ringraziare Gesù: l’incosapevolezza degli altri nega quella gratitudine che invece la consapevolezza del singolo ha permesso. Di fronte alla negatività di invidia, inconsapevolezza e tristezza, il cristiano deve essere “eucháristos”, cioè capace di rendere grazie, come dice la parola greca che è composta dall’avverbio eu, “bene” e dalla radice della “charis”, la “gratitudine”. L’eucaristia come rendimento di grazie dovrebbe essere dunque lo stile della Chiesa nell’impregnare le relazioni umane, sia con gli estranei sia con chi ci è prossimo, perché fratelli e sorelle ci si ritrova, per consanguineità o per vocazione comunitaria, ma fratelli e sorelle occorre diventarlo, riconoscendo questa condizione come un dono divino all’umanità. Silvia Murrai mostra, infine, l’efficacia della lettura del Salterio come viatico per arrivare a una vita di gratitudine: perché la preghiera che sgorga dai salmi ci porta in relazione col Signore, uscendo dalla gabbia del nostro io e arrivando a leggere la realtà con gli occhi di Dio.