di LUCIANO ZANARDINI
12 feb 2015 00:00
Le omelie rivalutate
Molte volte abbiamo la tendenza a giudicare il contenuto sulla base di “quello che volevamo sentirci dire”
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Al centro di una buona omelia resta il Vangelo che va coniugato con la vita quotidiana, quella stessa quotidianità che a volte ci sembra così pesante e così difficile da gestire. Chi va a Messa deve uscire rinfrancato dal dono dell’eucaristia e dal fatto di aver ascoltato una parola che gli dà speranza, che lo aiuta a leggere la sua vita in famiglia, al lavoro e nel tempo libero. E nella storia della Chiesa abbiamo una quantità industriale di riferimenti, di esempi, di testimonianze e di vite straordinarie nella loro ordinarietà. A volte i sacerdoti cercano citazioni impossibili, quando rispolverare l’elenco dei Santi potrebbe bastare.
Lo stesso Papa Francesco ha sottolineato la necessità di porre mano alla comunicazione del celebrante, perché "molti sono i reclami in relazione a questo importante ministero e non possiamo chiudere le orecchie". Il celebrante deve sempre, inoltre, ricordarsi che può avere di fronte fedeli diversi tra loro: deve, infatti, riuscire a scaldare il cuore dei “vicini”, quelli che frequentano con una certa assiduità, e dei “lontani”. In alcune Messe, si pensi ai funerali e ai matrimoni, sono presenti molte persone non praticanti e l'omelia diventa una grande occasione per incontrare la comunità allargata.
Nell’Evangelii Gaudium si dice, però, esplicitamente (al numero 138) che “L'omelia non è uno spettacolo di intrattenimento”. Ma quante volte vi è successo di assistere a un’omelia dove il celebrante si “traveste” da Gerry Scotti e inscena una sorta di quiz con i bambini? Sì, può essere un buon metodo per incuriosire i più piccoli, ma gli altri che partecipano alla Messa cosa portano a casa, a parte qualche risata? Serve equilibrio. Cosa portiamo a casa, invece, quando il celebrante non alza gli occhi dal foglio e legge qualcosa che non sente come suo e che, magari, non lo appassiona poi più di tanto. E quando assistiamo a una bella lezione teologica ma senza le necessarie cadute sulla realtà?
Il tema centrale non è, però, avere o non avere un bravo oratore come ribadisce mons. Arthur Roche, segretario della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti: il buon omileta, infatti, guida "a intendere e gustare ciò che esce dalla bocca di Dio, aprire i cuori al rendimento di grazie a Dio, alimentare la fede, preparare a una fruttuosa comunione sacramentale con Cristo". È un cattivo omileta colui che "pur essendo magari un grande oratore”, non è “capace di suscitare questi effetti".
Siamo portati anche a traslocare per seguire il sacerdote “bravo”, ma rischiamo di perdere di vista il contatto con la comunità che si rinnova principalmente nella partecipazione alla Messa domenicale. E anche questo è un aspetto da non sottovalutare per una comunità che vuole continuare a crescere.
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LUCIANO ZANARDINI
12 feb 2015 00:00