lock forward back pause icon-master-sprites-04 volume grid-view list-view fb whatsapp tw gplus yt left right up down cloud sun
Italia
04 giu 2015 00:00

Lo sciopero silenzioso delle urne

Una vera emorragia di voti, ben 10 punti in meno rispetto a cinque anni fa, quando andò a votare il 64,1% degli aventi diritto. L'editoriale del numero 22 di "Voce" è di don Adriano Bianchi

Votanti in sciopero? La bassa percentuale dei partecipanti alle elezioni di domenica 31 maggio è preoccupante. L’onda d’urto di questo dato, il vero fatto politico di queste elezioni al di là dei vincitori e dei vinti, non ha invaso abbastanza i palazzi della politica romana tutta presa, nel dibattito postelettorale, dalle varie rese dei conti, Pd in testa. Il centro destra, pressato da una Lega sempre più forte, resta in fibrillazione. I pentastellati si godono il posizionamento, anche se, come tutti, hanno perso in termini numerici migliaia di voti. Del resto la desertificazione dei votanti ha avuto proporzioni devastanti.

A urne chiuse l’affluenza si è fermata poco sopra al 50%: in media solo un elettore su due è andato a votare. Una vera emorragia di voti, ben 10 punti in meno rispetto a cinque anni fa, quando andò a votare il 64,1% degli aventi diritto. Il calo è verticale anche rispetto alle europee dello scorso anno, quando in Veneto votò il 63,9%, in Liguria il 60,7%, in Toscana il 66,7%, in Umbria il 70,5%, nelle Marche il 65,6%, in Campania il 51%, in Puglia il 51,5%. Mai, in nessuna elezione regionale dal 1970 ad oggi, si era toccata una percentuale così bassa. Il terremoto elettorale è di magnitudo tale da non poter essere esorcizzato dalle motivazioni che facevano prevedere una scarsa affluenza alle urne. La fuga dalle urne incrina definitivamente il mito di un Paese, come l’Italia, dove la partecipazione è sempre stata tendenzialmente sopra la media europea.

Ma chi sono coloro che sono rimasti a casa? Sono solo i vacanzieri del ponte del 2 giugno o, come qualcuno pare suggerire, “gli indignati” dalla politica del Governo che con il “presunto sciopero delle urne” esprimono un non voto politico? Può darsi. Ma non solo loro hanno disertato le urne: c’è forse anche una quota di coloro che erano stati attratti dalla nuova leadership renziana alle europee e che hanno forse preferito soprassedere per verificare se la loro fiducia non fosse stata mal riposta. Un po’ di attendismo? Chissà. E adesso cosa farà Renzi? Accelererà il passo nella convinzione che non si è fatto abbastanza per “cambiare verso” all’Italia, o s’incaglierà nella palude dei tatticismi e dei compromessi necessari a sopravvivere, soprattutto in casa Pd? Lo vedremo a partire dalla direzione del partito di lunedì prossimo dove è preannunciato lo scontro totale. Vuol dire quindi che è tutto “di sinistra” l’astensionismo aggiuntivo di queste elezioni? Sarebbe riduttivo crederlo. Più credibile è ritenere che la disaffezione alla politica coinvolga ormai tutte le aree della società civile, tant’è che ha colpito (e in termini assoluti si vede) anche a destra e nell’altrove grillino. Forza Italia perde, lasciando enormi spazi vuoti che solo la Lega riesce in parte a recuperare.

Il buon risultato del Carroccio è comunque ben lontano dal rappresentare una alternativa per i grandi numeri un tempo raccolti dal Pdl. Certo, i temi che la Lega cavalca, immigrazione e sicurezza, fanno presa, ma non basta. Il segnale che gli elettori hanno inviato investe una politica oggi forse troppo oscillante tra disinvoltura nei confronti degli avversari di destra e dileggio nei confronti delle posizioni critiche all’interno del Paese. A questo si aggiunga la pigrizia da divano televisivo e l’affidamento miracolistico nelle capacità taumaturgiche del leader, ieri Berlusconi, oggi Renzi, che non aumenta la partecipazione. Continua a mancare la dimensione collettiva e partecipativa del sistema politico, che sappia raccogliere per tempo i sintomi del disagio di una società schiava ormai del particolarismo degli interessi e delle scorciatoie ribellistiche.
04 giu 2015 00:00