Mezzo metro di distanza dalla realtà
Mezzo metro. È a questa distanza che spesso mi fermo dalle persone. Con i piedi incollati a terra dalle mie paure e dai miei pregiudizi. Non c’è volume. Non sento l’altro. Non so chi sia veramente. Ci sono io, i miei pensieri, le mie emozioni e i miei pregiudizi. Non c’è contatto. Sento la mia solitudine abitata dal pregiudizio. Di fronte a me c’è spesso un invisibile etichettato: un detenuto oppure un giovane d’oggi. Qualcun altro mi ha prestato un’idea su di lui. E io ci sono cascato. Il pregiudizio mi abita. Ma io abito da solo. O perlomeno mi fa sentire così. Mezzo metro di distanza dalla realtà. Distanti tra di noi. Lontani dalla felicità ma vicini alla rabbia e all’ansia. Ho dei pregiudizi che mi bloccano a mezzo metro da ciò che realmente cerco: una vita “viva”. È come se avessi messo io in prigione i miei desideri, davanti a chi è in prigione davvero. Davanti a un essere umano che non conosco, ma che nella mia testa ha un biglietto da visita che mi raggiunge in anticipo e che lo rappresenta: detenuto o giovane. Queste sono le due “categorie” che ho la grazia di frequentare (vivo in una fraternità, chiamata “la Locanda”, con un gruppo di giovani nel centro città). Mi fanno abitare con loro. E quanti pregiudizi vivo e sento su di loro: svogliati, irriverenti, sdraiati, senza volontà, pigri, aggressivi, maleducati, ansiosi, depressi, irresponsabili, irrecuperabili, di scarso valore insomma. Se si decide di fare una vita a mezzo metro da loro, ci si convince che sia cosi davvero. Sono sfinito dalle lamentele del mondo su di loro. Un mondo senza coraggio di vivere che si ferma a mezzo metro dalla vita. Voglio fare questo mezzo metro dalla felicità. Qualcuno ci riesce. L’ho visto a Roma, al Giubileo dei Detenuti.
Il carcere Nerio Fischione ha rappresentato idealmente le carceri d’Italia in questo pellegrinaggio simbolo di riscatto. A guidare la delegazione bresciana – composta da 45 persone tra volontari, cappellani, personale dell’amministrazione, un detenuto, quattro persone in misura alternativa e un ex detenuto – c’era l’associazione Vol.Ca (Volontariato Carcere) di Brescia, da sempre impegnata nel promuovere dignità e reinserimento per gli ospiti degli Istituti di Nerio Fischione e Verziano. Presenti, tra gli altri, figure istituzionali come la Direttrice delle carceri bresciane, Francesca Paola Lucrezi, e il Comandante della Polizia Penitenziaria, il commissario Aldo Scalzo. La loro partecipazione, accanto ai detenuti, ha simboleggiato una coesione umana rara, annullando i ruoli davanti a scambi di saluti, merende, sorrisi e preghiere. Come fare quel mezzo metro? Ci vuole qualcuno che abbia il coraggio e l’umiltà di osare attraversare lo spazio vuoto. E qualcuno che ti accompagni. Avete mai visto un detenuto, una direttrice del carcere, un comandante della polizia stringere la mano a un Papa, circondati da migliaia di volontari del carcere, nei pressi della tomba dell’apostolo Pietro? Noi sì. Da sola questa immagine mi insegna tutto. Mezzo metro fatto con coraggio e speranza. L’omelia di Leone XIV è stata un inno potente alla speranza (il mezzo metro che ci manca!). Il Pontefice ha esordito: “Che nessuno vada perduto! Che tutti siano salvati! Questo vuole il nostro Dio, questo è il suo Regno”. Ha poi insistito sulla separazione tra l’individuo e le sue azioni: “Nessun essere umano coincide con ciò che ha fatto. La giustizia è sempre un processo di riparazione e di riconciliazione.” Infine, l’esortazione: “Spalancate le porte del cuore”, ricordando che “da ogni caduta ci si deve poter rialzare”. Il viaggio ha trovato la sua colonna sonora ideale nell’“Inno al Giubileo” della “Kyrie Eleison Band” di Nerio Fischione, nata in carcere, quel luogo che mi sta insegnando a fare 50 centimetri di vita, verso tutti. A partire dal mondo dei giovani. Che io stimo molto. Avrò il coraggio di fare quel mezzo metro dai miei pregiudizi di infelicità? Verso i giovani e gli invisibili? La Chiesa mi ha dimostrato che si può.