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30 giu 2016 00:00

Mode ecclesiali o ecclesiastiche?

Dobbiamo rassegnarci a una Chiesa che insegue le mode? Ci sono modelli di pastorale che fanno più tendenza di altri? Pare di sì. L'editoriale del n° 26 di "Voce" è di don Adriano Bianchi

Dobbiamo rassegnarci a una Chiesa che insegue le mode? Ci sono modelli di pastorale che fanno più tendenza di altri? Pare di sì. Sarà una sensazione, ma anche a Brescia, più che nel passato, non è raro incrociare nei preti e nelle parrocchie una varietà e una diversità di stili che fa una certa impressione. Creatività, sensibilità legittime? Non sempre. Bastano a volte alcune parole chiave e d’un tratto nella parrocchia tutto si rimodula, ruoli, forme, iniziative. C’è da stupirsi? No, se non fosse che quello che un tempo era prioritario e non negoziabile d'un tratto passa la mano a qualcosa di opposto che diventa al contempo imprescindibile.

Di per sé anche se il Vangelo è sempre lo stesso il suo annuncio trova gesti e parole diverse in ogni epoca. Gesù stesso ha agito sempre “gestisverbisque”, cioè con parole e gesti strettamente uniti insieme. Così se qualche gesto o parola cambia perché scandalizzarsi? In fondo il Vangelo distillato, non inculturato o esente dagli influssi del tempo in cui viene annunciato non esiste. L’evangelizzazione non è immutabile. Qualche sospetto nasce se s’incontrano un po’ troppe radicalizzazioni. Si potrebbe dire, dov’è il problema? Non siamo tutti uguali. Va bene, basta che forme e stili così diversi non nascondano un eccesso di personalismi. Si tratta di mode ecclesiali o mode ecclesiastiche dove la pastorale si sposa solo con la sensibilità personale del prete di turno?

In una Chiesa che è bella perché è varia, c’è posto per tutti, ma mai contro la comunione ecclesiale. Vescovo e magistero dovrebbero servire a questo. Siamo certi che certe originalità liturgiche o pastorali sempre più diffuse non siano incompatibili? Il sospetto è che qualcuno interpreti più un ruolo e un personaggio che se stesso. E come fa sorridere il prete alternativo che inventa le parole della liturgia (spesso privandola di senso compiuto) o propone un modello di pastorale da Vaticano VII, così rischia di diventare ridicolo chi sembra uscito dalla corte rococò del re di Francia. Seriamente, se fossimo certi che un bongo o una chitarrina in più o, in altro senso, più tricorni o flabelli in chiesa fossero sufficienti all’adesione a Cristo e alla fede potremmo farli adottare entrambi per decreto al Vescovo in tutta la diocesi.

Ma se certe forme sono solo pose o un modo per distinguersi o per manifestare dissenso, forse il buon senso potrebbe spingerci a ritrovare una nuova sobrietà, un ascolto più attento della comunione ecclesiale e del cammino della nostra Chiesa locale. Magari ne guadagneremmo almeno in credibilità davanti a tutti. Viviamo in un mondo che si chiude sempre più in se stesso e che si lascia provocare solo se ci percepisce compagni di strada. La società si bea di bellezze effimere e fatica a scoprire nel Vangelo la bellezza che salva. Non credete che abbiamo abbastanza da fare, o no?

30 giu 2016 00:00