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di MASSIMO VENTURELLI 29 set 2016 08:39

Noi, gli immigrati...

Nei giorni scorsi gli elettori del Canton Ticino ci hanno costretto a un gioco di ruolo un po’ scomodo. Con il voto favorevole (con il 58% dei consensi) al referendum che chiedeva l’introduzione di misure restrittive nel ricorso alle prestazioni professionali dei frontalieri

Nei giorni scorsi gli elettori del Canton Ticino ci hanno costretto a un gioco di ruolo un po’ scomodo. Con il voto favorevole (con il 58% dei consensi) al referendum che chiedeva l’introduzione di misure restrittive nel ricorso alle prestazioni professionali dei frontalieri (italiani che ogni giorno passano il confine della Svizzera per lavorare nelle aziende elevetiche) ci hanno costretto (e non solo le persone direttamente coinvolte) a metterci per un giorno nei panni degli “altri”, di quelli che nelle nostre comunità qualcuno non ha mai smesso di guardare con occhio sospetto. I ticinesi, pur ammettendo che i frontalieri si occupano di quelle mansioni che nessun svizzero più accetta di svolgere e che per queste accettano compensi inferiori a quelli garantiti ai cittadini elvetici, con il loro voto hanno detto che, da oggi, “prima vengono loro e poi gli italiani”.

Una decisione, hanno detto quasi a volersi giustificare, dettata dalla crisi economica che anche nella ricca Svizzera comincia a far sentire i suoi effetti. Nel coro si è sentita anche la voce degli imprenditori d’oltre confine, preoccupati che possibili azioni contro i lavoratori italiani, a cui per altro sono assegnate spesso mansioni scarsamente professionalizzate, possano mettere in crisi le loro aziende... Tra i primi ad alzare la voce, chiedendo al governo un’azione chiara nei confronti della confederazione elvetica, il presidente della Lombardia Roberto Maroni, e altri esponenti di quelle forze politiche che, più di altre in Italia, hanno cavalcato, non senza tornaconto, il motto “prima i nostri”.

Ora i ticinesi ci hanno relegato nello scomodo ruolo degli altri e questo ha fatto scattare la protesta. Che si tratti di una nemesi? Forse. L’importante è che della lezione (per quanto dura e indigesta questa possa essere) facciamo tesoro, ricordando che il confine tra “noi” e gli “altri” è labile, spesso strumentale e che “gli altri” nonostante tutto ci servono, e che ci piaccia o meno.

MASSIMO VENTURELLI 29 set 2016 08:39