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di SAVIO GIRELLI 22 gen 2015 00:00

Non vado a messa, ma...

Si assiste ad una lenta separazione tra liturgia e la devozione personale

“Non vado a Messa, ma ogni giorno prego, la domenica faccio visita al cimitero e una volta all’anno raggiungo in pellegrinaggio un santuario e tengo sempre nel portafoglio l’immagine di Santa Rita”. Chissà quante volte parroci, catechisti e genitori avranno sentito questa giustificazione. Se si accenna al “precetto”, apriti cielo! La Messa non deve essere un obbligo! Per certi versi non è una novità, già San Paolo raccomandava nella Lettera agli Ebrei di non “disertare le nostre riunioni, come alcuni hanno l’abitudine di fare” (Eb 10, 25).

Storicamente si può dire che la centralità e la preminenza della preghiera liturgica rispetto alla preghiera personale è esistita fino al X secolo. Poi con il passaggio dal romanico al gotico la spiritualità cambia: dai “circumstantes” che stanno attorno all’unico altare, si passa al moltiplicarsi degli altari lungo le navate gotiche e si vedono allontanarsi i fedeli dallo spazio presbiterale, quando l’altare viene spinto verso il fondo della navata. Si assiste così ad una lenta separazione tra liturgia e la devozione personale. Riprendendo il discorso iniziale, dobbiamo dire che le due forme di preghiera non sono e non devono essere in opposizione tra loro, ma sono complementari e in continuità.

Diciamo che ogni preghiera cristiana deve la propria dignità alla preghiera di Cristo stesso: è, infatti, una preghiera fatta in Cristo, cioè uniti a lui come i tralci alla vite. Ma quando i singoli battezzati si riuniscono in assemblea liturgica sotto la presidenza di un ministro che agisce nella persona di Cristo, essi formano il Corpo totale di Cristo sacerdote, cioè il Cristo-capo unito al Cristo-corpo. Una tale preghiera non solo è fatta in Cristo, ma appartiene ed è fatta da tutto il corpo di Cristo che è la Chiesa unita al suo Sposo. Questa preghiera della sposa, fatta sotto la guida dello Spirito Santo acquista una dimensione universale così vasta che non potrà mai essere uguagliata neppure dalla preghiera personale più devota e raccolta.

Resta, per alcuni, la difficoltà di doversi muovere, nella preghiera liturgica, sulla traccia di formule preordinate rinunciando alla libera personale. Se ben si afferra, però, il valore della preghiera liturgica, tale inconveniente non solo non mortifica la preghiera, ma la educa e la nobilita. Mi offre una realtà più grande di me che mi aiuta a superare il soggettivismo, a uscire dai limiti angusti della mia povertà spirituale, per assumere il respiro orante della Chiesa universale.
SAVIO GIRELLI 22 gen 2015 00:00