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di ROSSELLA DE PERI 16 dic 2021 10:00

Parlare di meno

In fila nella lunga coda di auto prima delle 8 del mattino, guardando nello specchietto retrovisore; una figlia parla animatamente e ininterrottamente al padre, che è alla guida. Col busto è rivolta al lui, gesticola manifestando così la parte più emotiva del suo eloquio; sembra che ci tenga tanto a trasmettere al padre ciò che ha dentro, come se fosse l’interlocutore privilegiato. È intuitivo che ciò che sta dicendo non è carico di aggressività, ma di emotività, di forte coinvolgimento.

Non stacca gli occhi dal padre mentre continua a parlare, non si distrae con la vista esterna all’abitacolo, non guarda mai il cellulare. E tutto questo nel lungo tempo di un tragitto in auto, presumibilmente verso la scuola. Il padre ascolta. E tace. Non apre bocca, forse due brevi frasi. Quando la sosta al semaforo lo permette, distoglie gli occhi dalla guida e guarda con attenzione la figlia, che parla, parla, parla. È una scena inconsueta.

Chissà quanti genitori di adolescenti lo invidiano, avendo a che fare con figli “muti”! Generalmente padre o madre fanno gli autisti, assorti dal traffico e il figlio o la figlia guardano il cellulare o hanno lo sguardo perso nel vuoto. E regna il silenzio. L’ipotesi che quel padre e quella figlia abbiano un buon rapporto sembra plausibile. A cosa è dovuto? L’ascolto che il padre mette in atto fa la parte del leone per determinare la voglia della figlia di raccontarsi. Un genitore che ascolta tanto permette al figlio di parlare tanto; forse l’ascolto non è la condizione sufficiente, ma sicuramente è necessaria affinché un figlio parli con i genitori.

Semplicemente l’ascolto: meno rimproveri, giudizi, raccomandazioni e reprimende. Quel padre che non interrompe la figlia, favorisce nella figlia il parlargli tanto; sicuramente avrà anche lui la sua opinione in proposito all’argomento, ma si astiene, rimandando magari a un secondo momento il suo intervento, per privilegiare l’ascolto. Per controllare un figlio non c’è mezzo tecnologico che superi il conoscere ciò che pensa. Il conoscere ciò che ha nella testa permette a un genitore di sapere molto di più su di lui che con qualsiasi mezzo tecnologico di controllo.

Quella è la forma migliore di controllo, perché sapere ciò che un figlio pensa può far prevedere a un genitore comportamenti e atteggiamenti e dargli tranquillità o correre ai ripari sul da farsi per affrontare i problemi. Un figlio raccontandosi palesa ciò che è. Questo non è di per sé sufficiente a risolvere le situazioni problematiche, ma almeno si ha una fotografia e questo è un ottimo punto di partenza. Parlare di meno e ascoltare di più: quanto già si può fare, senza apparentemente fare nulla.

ROSSELLA DE PERI 16 dic 2021 10:00