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di PAOLO BUSTAFFA 25 giu 2025 12:04

Poesie che graffiano

“Continueremo a fare delle nostre vite poesie, fino a quando libertà non verrà declamata sopra le catene spezzate di tutti i popoli oppressi. Restiamo umani”. Si chiude con queste parole il libro “Il loro grido è la mia voce. Poesie da Gaza” (Fazi Editore 2025). La forza disarmata e disarmante delle parole di poeti palestinesi, alcuni dei quali uccisi da proiettili o bombe, è raccolta in un’antologia di racconti dove non c’è traccia di odio. C’è la denuncia dell’indifferenza, del silenzio, della complicità degli spettatori che da ogni angolo del mondo vedono la morte di innocenti e la distruzione di case, di luoghi dove nascono e crescono le relazioni umane più intime, profonde e aperte. Il racconto è tutto dentro Gaza, ma richiama con immediatezza quelli di tutti Paesi sfregiati dalla guerra: la poesia non ha confini, abbraccia il mondo, è il racconto con parole vissute di un dolore cosmico. Dando all’umanità il volto della madre, la poetessa Ni’ ma Hassan scrive: “Una madre a Gaza non è come tutte le madri. Fa il pane con il sale dei suoi occhi … e nutre la patria con i suoi figli…”. Così tutte le mamme, comprese le nonne, che nel mondo stanno vivendo la tragedia della guerra mentre molta parte dello stesso mondo guarda immagini, ascolta parole, si commuove per poi passare ad altro. Il poeta Marvan Makhoul scrive: “Il corvo nero è più bello sulla neve di tutte le colombe della pace nei discorsi dei politici” e aggiunge: “Potremmo non cambiare questo mondo con ciò che scriviamo ma potremmo graffiare la sua vergogna”.

La morte è annunciata dal suono delle sirene, dal rombo degli aerei, dal sibilo dei missili, dai fruscii dei droni. Refaat Alarer, ucciso da un raid mirato scrive: “Se devo morire che porti speranza che sia una storia”. Non manca nelle poesie da Gaza un accenno a Dio. Un accenno che, pur esigendo un approfondimento, percorre sentieri dell’anima che portano a una meta comune. Prima di morire sotto un bombardamento il 20 ottobre 2023 scrive il poeta Heba Abu Nada: “Noi di Gaza, presso Dio, siamo martiri o testimoni della liberazione. E tutti noi aspettiamo il luogo in cui saremo. Tutti noi aspettiamo, o Dio, la tua promessa veritiera”. Ecco la forza disarmata e disarmante delle poesie da Gaza fattesi portavoce di ogni terra dilaniata dalla guerra. Della diversità di questa forza si accorse il generale israeliano della “Guerra dei sei giorni” del 1967 ammettendo che leggere le poesie scritte sotto le bombe “era come affrontare venti combattenti nemici”. Non nemici armati ma uomini e donne che alle loro parole davano la forza di scuotere la coscienza dei forti.

PAOLO BUSTAFFA 25 giu 2025 12:04

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