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di CHIARA BUIZZA 19 feb 2015 00:00

Poveri di lacrime

Quelli che fanno una vita più o meno senza necessità non sanno piangere. Siamo una società che ha dimenticato l’esperienza del piangere

“Gli occhi per vedere hanno bisogno di lacrime, se no diventano come quelli dei pesci che all’asciutto non vedono niente e si seccano ciechi!”(E. De Luca, 2002): potrebbe essere questa la sintesi-evocativa dell’appello di papa Francesco sulla necessità delle lacrime, esperienza su ha richiamato più volte l’attenzione. Un richiamo carico di domande volte a interpellare il cuore e la coscienza di ciascuno.

Così a Lampedusa – isola simbolo della tragedia dei migranti morti in mare: “Chi di noi ha pianto per questo fatto e per fatti come questo? Chi ha pianto per la morte di questi fratelli e sorelle? Chi ha pianto per queste persone che erano sulla barca? Per le giovani mamme che portavano i loro bambini? Per questi uomini che desideravano qualcosa per sostenere le proprie famiglie? Domande che trovano eco nel discorso-dialogo con i giovani a Manila: “Invito ciascuno di voi a domandarsi: io ho imparato a piangere? Quando vedo un bambino affamato, un bambino drogato per strada, un bambino senza casa, un bambino abbandonato, un bambino abusato, un bambino usato come schiavo per la strada?”.

Interrogativi perforanti che nondimeno si spezzano davanti a una realtà asciutta di lacrime: “Al mondo di oggi manca il pianto! Piangono gli emarginati, piangono quelli che sono messi da parte, piangono i disprezzati. Quelli che fanno una vita più o meno senza necessità non sanno piangere”. “Siamo una società che ha dimenticato l’esperienza del piangere, del “patire-con”: la globalizzazione dell’indifferenza ci ha tolto la capacità di piangere”.

Una povertà, quella delle lacrime, tuttavia, che più che una condanna appare una sfida -“possiamo anche noi domandare la grazia delle lacrime” e “siate coraggiosi, non abbiate paura di piangere!” – rispetto alla quale le esperienze di chi vede con gli occhi puliti dalle lacrime si fanno ancora più preziose. Come quella della maestra che piange per un alunno espulso dalla scuola e che assisterà al miracolo della sua trasformazione. Solo a lei confiderà il segreto del miracolo: “Nessuno aveva mai pianto per me”. Un’esperienza di “occhi puliti dalle lacrime” tra le tante raccontate in “Ciò che inferno non è” (D’Avenia, 2014), un’esperienza che al pari di molte vissute occorrerebbe forse raccontare per dimostrare che vale la pena piangere per gli altri (e con gli altri).
CHIARA BUIZZA 19 feb 2015 00:00