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di LUCIANO COSTA 28 gen 2016 00:00

Se Bonometti diventa presidente...

È’ uno dei pochi che i sorrisi non li compra, li regala. Lui sorride sempre e volentieri, in pratica ha la faccia e gli occhi che sorridono. Il che non è male, anzi...

È’ uno dei pochi che i sorrisi non li compra, li regala. Lui sorride sempre e volentieri, in pratica ha la faccia e gli occhi che sorridono. Il che non è male, anzi. Infatti, questo suo modo di fare spiana la strada, apre varchi impensabili anche nelle più difficili trattative, mette soci, collaboratori, amici e nemici nella condizione di giocare la partita, cioè di dire tutto quel che c’è da dire, ognuno come meglio crede, ma con l’obbligo di arrivare dove il bene dell’azienda consiglia di arrivare.

Dietro il sorriso, ovviamente, c’è innanzitutto il capitano d’industria (un’industria all’avanguardia, competitiva, invidiata, fiorente, multinazionale, grande e ancora in espansione), da due anni anche il presidente dell’Associazione industriale bresciana (potente, temuta, seconda forse solo a Milano), fra un po’, cioè dopo il pronunciamento dei saggi e l’acquietarsi delle competizioni in atto, magari anche presidente di Confindustria. Se avvenisse, sarà il caso di ricordargli che prima di lui, su quello scomodo scranno s’accomodò un certo Luigi Lucchini.

Lui è Marco Bonometti, fisico da nuotatore (uno che in gioventù divorava i cento metri in meno di un minuto), sessant’anni, laurea in ingegneria meccanica conseguita al Politecnico di Milano, figlio di Carlo, alpino andato avanti lasciando al figlio non il tempo dei sogni da realizzare e della gioventù da vivere, ma un’attività che per vincere le sfide del mercato e della concorrenza aveva bisogno di braccia forti e di idee coraggiose; l’azienda di cui è presidente, amministratore delegato, capo e anche, per dirla all’antica, “buon padrone” è la Omr (Officine meccaniche rezzatesi), leader mondiale nel campo della componentistica per automobili, una holding che conta nove stabilimenti in Italia – con oltre tremila dipendenti – e altri quattro sparsi tra Brasile, Marocco, India e Cina.
Di lui, quasi sempre a sproposito, in tanti credono di sapere tutto e anche il contrario di tutto. In realtà, sanno ben poco. Infatti, Marco sfugge, meticolosamente, ai canoni della comunicazione mediatica e delle logiche dell’apparire. Preferisce stare in azienda (dove spesso si ferma per pranzare alla mensa, insieme ai suoi operai e impiegati), oppure, ma sempre di corsa, in uno dei tanti uffici di società, associazioni, banche, istituti scolastici, enti a cui assicura il suo impegno e le sue disponibilità. Qualcuno gli affibbia etichette politiche-partitiche, amicizie altisonanti, ruoli sempre più determinati e determinativi nei più diversi ambiti della società bresciana. Lui sostiene invece che la politica, la sua idea di politica (bella- brutta- piacevole-spiacevole-amata-odiata…) se la porta dentro, al massimo attaccata al portachiavi. Quanto alle amicizie altisonanti, non esita a dire che “vanno e vengono: importante è non ritenerle obbligatorie e indispensabili”. Sugli incarichi (magari anche in via dell’Industria a Roma) che ambiti diversi, quasi tutti in fermento doloroso, gli vanno insistentemente a sollecitare, raccomanda di non esagerare, ma non nega che talune situazioni lo intrigano ed impegnano non poco. In estate, primo nella storia dei presidenti Aib, s’è presentato alla platea della Cgil, eterna nemica, sapendo che quella era una battaglia non da combattere, ma da vincere. In primavera, invece, Marco, nella semplice veste di abitante del mondo, ha messo un’ora del suo tempo a disposizione della logica che sovrintende “il bene da fare, fare bene, fare subito”.
I due ruoli, per dirla ancora all’antica, sono come il diavolo e l’acquasanta. Ma il bello è che Marco non li contrappone. Semplicemente, li vive e li onora entrambi.
LUCIANO COSTA 28 gen 2016 00:00