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di GUIDO COSTA 15 set 2016 08:22

Se il tessitore lascia

Solo chi frequenta con assiduità la sala consiliare di Palazzo Loggia potrebbe aggiungere qualcosa alle poche righe con cui Giuseppe Ungari si è dimesso dall’incarico di presidente del Consiglio comunale di Brescia. Non tanto per ribadire ciò che ha scritto e detto (“Lascio per ragioni personali”), ma per fare di queste dimissioni un’occasione per riflettere sulle dinamiche che muovono l’assemblea

Solo chi frequenta con assiduità la sala consiliare di Palazzo Loggia potrebbe aggiungere qualcosa alle poche righe con cui Giuseppe Ungari si è dimesso dall’incarico di presidente del Consiglio comunale di Brescia. Non tanto per ribadire ciò che ha scritto e detto (“Lascio per ragioni personali”), ma per fare di queste dimissioni un’occasione per riflettere sulle dinamiche che muovono l’assemblea di Palazzo Loggia, sul clima di litigiosità permanente a cui sembra condannata, su come le sue divisioni rischiano di riprodursi, quasi per emulazione, in tanti ambiti sociali.

Si dirà che è sempre stato così, che il Consiglio comunale è palestra e laboratorio politico, che la vivacità del confronto è segno di passione per la cosa pubblica. Tutto vero, ma l’impressione è che si sia ormai andati stabilmente fuori misura. Della decisione di Ungari mi colpisce ciò che lascia appena intuire. Sicuramente la delicatezza di un ruolo che va ben al di là della seduta consiliare, che ha bisogno di poter contare su supporti tecnico amministrativi all’altezza della complessità dei problemi di una grande città, che richiede continui approfondimenti, incontri, verifiche e mediazioni.

E oltre la delicatezza dell’incarico, la fatica che tutto ciò comporta. Ma anche la sensazione di inutilità e di fallimento che forse il presidente dimissionario ha sperimentato quando dopo il lavoro di settimane, talvolta di mesi a smussare angoli e a sciogliere nodi, se li è visti puntualmente riannodare in aula da consiglieri immemori. Ungari, gli va riconosciuto, ha sempre dimostrato di saper ricominciare da capo, tessitore di una tela nascosta, scontentando sia chi si aspettava che alzasse bandiere identitarie a marcare i confini delle convinzioni ideali, sia chi gli strattonava la giacca in nome della cosiddetta “modernità”.

Forse non ha saputo prendere per mano con la necessaria decisione un Consiglio riluttante a riconoscere che non c’è buona politica senza fraternità, ma si è mosso trasversalmente alla ricerca in tutte le voci elette dai cittadini di ciò che andava verso il bene comune. Le parole di apprezzamento che gli sono arrivate da ogni parte dell’assemblea devono ora trovare rispondenza nei comportamenti consiliari. Chi può si faccia carico per davvero dell’appello che il Capo dello Stato ha lanciato agli amministratori bresciani: la politica deve unire, non dividere. Ungari ci ha provato e bisogna essergliene grati.


GUIDO COSTA 15 set 2016 08:22