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di LUCIANO ZANARDINI 29 gen 2015 00:00

Se un catechista non accoglie...

Non è tollerabile per un oratorio o una parrocchia accettare queste prese di posizione da parte di chi frequenta o ha, addirittura, delle responsabilità nella comunità

“Se un catechista crede che un immigrato deve tornare indietro, non può fare il catechista e lo stesso vale per un operatore pastorale”. Le parole non sono mie, ma di un autorevole esponente della Chiesa cattolica, prossimo alla berretta cardinalizia: mons. Francesco Montenegro, vescovo di Agrigento.

Un parroco del centro storico ha commentato (non si sa quanto ironicamente) le frasi di Montenegro con un “così l’80% dei catechisti o degli operatori resta a casa”. Il dato è triste, anche perché come sottolinea Montenegro il Vangelo non si può “prendere a pezzetti: se caccio l’immigrato, sto cacciando Gesù”. Badate bene che non è una semplice provocazione, anche perché l’arcivescovo di Agrigento ha chiesto direttamente ai suoi catechisti e ai suoi parroci un minimo di coerenza. E ai nostri? Chiediamo la coerenza? Ma… Se abbiamo volontari che non sono in grado di collaborare con le altre parrocchie dell’unità pastorale, come possiamo pensare che si aprano agli altri e agli stranieri?

Per curiosità, invito tutti a fare un piccolo viaggio sui social network per trovare esternazioni non certo tenere sul tema degli immigrati che sbarcano a Lampedusa: “Devono stare a casa loro”; “Sono solo delinquenti”; “Lasciamoli affogare”. Invito anche i sacerdoti a osservare i post pubblici dei loro catechisti... Purtroppo, però, ci sono anche casi schizofrenici di preti che, purtroppo, si allineano al dibattito di basso profilo.

È innegabile registrare una forma di chiusura alimentata in questi anni da esponenti politici che hanno preferito soffiare sul fuoco della paura. Spesso l’altro ci mette nelle condizioni di smascherare i nostri limiti, anche per questo lo temiamo. Ma il compito della comunità cristiana è quello di favorire un ambiente sano dove le differenze diventano una ricchezza. Evidentemente abbiamo sbagliato qualcosa. Sempre quel parroco citato all’inizio raccontava che alcuni genitori hanno scelto di portare i loro figli a un grest “senza stranieri”.

Di fronte a questi episodi è necessario lo strumento della correzione fraterna, ma è altrettanto necessario assumere una posizione chiara e precisa. Non è tollerabile per un oratorio o una parrocchia accettare atteggiamenti ostili da parte di chi frequenta o ha, addirittura, delle responsabilità nella comunità. Chi vive la comunità cristiana deve favorire una cultura dell'accoglienza, dell'incontro con l'altro, che sia straniero o non straniero poco importa: è chiaro però che ci costa più fatica accettare chi non conosciamo. Che Vangelo trasmettono se non lo vivono con il cuore? Chi non è d’accordo, faccia un passo indietro.
LUCIANO ZANARDINI 29 gen 2015 00:00