Un Padre della Chiesa che cammina con noi
Le Confessioni, sono non solo una modernissima testimonianza di autobiografia, ma una delle opere in grado di passare indenni attraverso i secoli, per la sua capacità di aprire il se stesso nascosto in un dialogo continuo con Dio

Certo, quel “Tardi ti amai, bellezza così antica e così nuova” di Sant’Agostino è una delle origini di tutto, se per tutto si intende il permanere di una fascinazione arrivata fino all’oggi di un pontefice appartenente al suo ordine.
Agostino di Ippona affascina oggi come ieri in quanto ha attraversato i monti impervi del piacere, della cultura fine a se stessa, della pretesa di arrivare alla spiegazione di ogni cosa. Perché le ha affrontate di tempeste, l’uomo nato a Tagaste nel 334, in Numidia, da un padre pagano e una madre che invece aveva abbracciato la fede cristiana.
Agostino era passato attraverso la fascinazione retorica, soprattutto di Cicerone, ma nel frattempo dedicava il suo tempo anche alle Scritture, e pian piano la soluzione logica del problema del male che offriva il manicheismo -lo spirito è il bene, non la materia- iniziò a non convincerlo.
Ben presto il giovane sapiente inizia a sospettare che non sia quella la chiave di tutto, e che più in generale la soddisfazione dei desideri, di qualsiasi tipo, sia non un bene, ma anzi rappresenti l’ingresso nella casa del male. E il suo capolavoro, Le Confessioni, sono non solo una modernissima testimonianza di autobiografia, ma una delle opere in grado di passare indenni attraverso i secoli, per la sua capacità di aprire il se stesso nascosto in un dialogo continuo con Dio. Per la sua profondità che arriva ai meandri più nascosti dell’io, in un vero e proprio, genialmente in anticipo sui tempi, scavo psichico.
Le sue considerazioni sul tempo, con un presente che ci sfugge, un passato che non è più e un futuro che non è ancora, anticipano di un millennio e mezzo il pensiero del filosofo Bergson, uno dei più influenti nel Novecento, in cui si mette in evidenza l’impossibilità di segmentare il tempo in tratti tutti uguali e la consapevolezza che esso sia una dimensione interiore, non quantizzabile.
Un’altra componente affascinante del pensiero che Agostino riversa nelle Confessioni è quello della memoria, perché non solo precede ancora una volta Bergson e molta parte della reazione novecentesca contro il positivismo, ma anticipa quello che sarà elemento cardine della modernità, soprattutto in Eliot e in Proust: la ricerca incessante di qualche cosa che è già stato nostro: “Dove dunque ti trovai, per conoscerti? Certo non eri già nella mia memoria prima che ti conoscessi”, per affermare più avanti, in un decimo libro fondamentale per comprendere l’opera intera di Agostino, “sì, perché tu eri dentro di me e io fuori”.
Tanto è potente e affascinante il richiamo alla antica comunione tra il nostro umano e il divino che molti lo hanno fatto proprio: basterebbe pensare al Secretum di Petrarca in cui il santo diviene guida nel cammino di allontanamento del poeta dai legami che gli impediscono di iniziare un vero cammino di redenzione e ad un’opera che fin dal titolo richiama l’insegnamento del vescovo di Ippona: “Tardi ti ho amato”, romanzo di Ethel Mannin, uno dei preferiti da papa Francesco, in cui è narrato il percorso di uno scrittore ricco, famoso e sazio di piaceri; proprio per questo, e dopo la tragica fine della sorella, decide di iniziare un cammino nuovo che lo porterà tra i Gesuiti, ma con Agostino sempre nel cuore. E in questo romanzo emerge ancora una volta quella memoria involontaria che viene da molto lontano: “è naturale avere nostalgia del cielo perché la nostra patria si trova lassù”.
Una fascinazione che si spiega solo pensando alla sua capacità di leggere dentro l’uomo al di là delle mode e entrare nelle sue profondità, ieri come oggi, e parlare attraverso la conoscenza diretta degli ostacoli che si frammettono tra noi e la vera, autentica strada del Cristo.
