Francesco: eredità da applicare non da commemorare

La politica italiana ha scelto, con una seduta del Parlamento a camere riunite, di commemorare la figura di papa Francesco e lo “spettacolo” andato in onda ancora una volta non è stato dei migliori. L’occasione di confronto e riflessione sulla figura, sul magistero e sulle azioni di papa Bergoglio ha finito per essere piegata a una, seppure più elegante rispetto agli standard, contrapposizione tra parti sembrate più interessate a battibeccare su chi possa vantare la più autentica patente di “bergogliosità” che non a domandarsi quante delle battaglie combattute dal Pontefice eletto il 13 marzo 2013 abbiano trovato riscontri concreti nelle scelte, nei provvedimenti, nelle azioni della politica.
Eppure, per dare dignità e spessore a un momento come quello messo in calendario per il pomeriggio di ieri, sarebbe bastato che deputati, senatori e membri del governo presenti in Parlamento si fossero presi la briga di rileggere e di meditare non solo i documenti del magistero di papa Francesco, ma anche sulle sue omelie, sulle sue riflessioni e sui suoi interventi per domandarsi con franchezza: “C’è stata una volta in cui queste parole e questi appelli mi hanno interpellato, messo in crisi, aiutato ad assumere decisioni solo ed esclusivamente nell’interesse dell’uomo, soprattutto del più piccolo e del più debole?”. Non sarebbero serviti, poi, grandi discorsi e punzecchiature reciproche perché mai come in questi tempi le parole che papa Francesco (troppo spesso inascoltate, ndr) ha pronunciato sin dal primo giorno del suo Pontificato non hanno mai chiesto di essere commentate, ma di diventare un pungolo, uno stimolo per tutti e, forse, un po’ di più per chi si è assunto l’onore e l’onere di servire il Paese.
Sarebbe bastato che in Parlamento ieri si desse lettura anche solo dell’ultimo messaggio Urbi et orbi che papa Francesco, ormai provatissimo nel fisico non era riuscito a pronunciare nel giorno di Pasqua. Un messaggio in cui ha denunciato, per l’ultima volta, la corsa agli armamenti, ha chiesto il cessate il fuoco nei territori di guerra, ha invocato la pace, la liberazione dei prigionieri, il rispetto della dignità umana e l’uso delle risorse per combattere fame e povertà. All’indomani della sua morte, moltissimi commentatori l’hanno definito un vero e proprio testamento spirituale, una sorta di “summa” del suo pensiero e del suo magistero, un testo non certo da mettere in cornice e da esporre come un prezioso cimelio, ma, se molte delle parole risuonare ieri in Parlamento sono state autentiche, convinte e condivise e non semplice esercizio di retorica, un testo vivo, pulsante, un punto di riferimento imprescindibile nel concepire l’azione politica e tutto quello che da questa consegue.
Quello che vale per la politica di casa nostra vale, forse ancora di più, per quella del mondo che sabato si ritroverà in piazza San Pietro per i solenni funerali di papa Francesco. Dinanzi a quella semplice bara ci sarà qualcuno che si sentirà almeno un po’ in colpa per avere lasciato il Papa solo a combattere la battaglia contro la “globalizzazione dell’indifferenza”?
La stessa domanda, però, deve interpellare un po’ anche tutti noi…
Foto Vatican Media/Sir
