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Brescia
di M. TONINELLI 07 mag 2015 00:00

Pietro Pivotto: il futuro dell'atletica bresciana

Uno strappo al bicipite femorale ha impedito all’atleta bresciano di partecipare ai Mondiali Juniores. Il velocista dell'Atletica Rodengo Saiano si racconta

“Ci sono due momenti. Quando sono sui blocchi e la corsa. Nel primo la tensione è più alta, penso solo a spingere, a dare il massimo. Appena sento lo sparo, la testa si libera. Non guardo gli altri, non sento il tifo. Vedo solo il traguardo e cerco di dare il massimo”. Ma queste esperienze purtroppo devono aspettare. Lui si chiama Pietro Pivotto e la sua estate, dopo la maturità al Lunardi, purtroppo non è stata quella che da un po’ si era immaginato. Sarà uno degli assenti ai campionati mondiali di atletica leggera Under 20, categoria Junior che si svolgono in questi giorni, dal 21 al 27 luglio, in Oregon (Usa), più precisamente a Eugene. E Pietro, bresciano classe ’95 dell’Atletica Rodengo Saiano, doveva essere tra i giovani convocati nella nazionale italiana. “Avrei dovuto fare i 200 metri piani – racconta come chi ha perso un’occasione ma con la grinta di chi sa che non finisce qua – e la staffetta 4x100”. Il verbo è al condizionale perché durante gli ultimi allenamenti, in vista della partenza per gli Stati Uniti, “ho sentito vari dolori alla coscia. Dagli esami è risultato uno strappo al bicipite femorale e una retrazione del tendine – spiega il giovane atleta – motivo per cui non sono stato convocato”. Ovvio che il dispiacere è stato forte, ma come in ogni squadra che si rispetti e si chiami tale “i miei compagni e il presidente della nazionale giovanile sono riusciti a farmi digerire il colpo standomi vicini”.

In vetrina, per il proprio palmares personale 2 campionati nazionali, diversi campionati regionali e provinciali; per ora è anche il detentore del record provinciale sui 300 metri. A ispirarlo due miti: Pietro Mennea e Michael Phelps. “Quest’ultimo non solo per le 8 medaglie in una edizione di giochi olimpici, ma soprattutto per la capacità di lasciare la vita atletica separata da quella personale”. Tra i suoi preferiti anche il tennista Novak Djokovic per la sua umiltà.

La passione per l’atletica della promessa bresciana nasce molto tempo fa. Il primo approccio con lo sport avviene con il nuoto ma “dopo sei anni non ero ancora capace di nuotare. Ho deciso di cambiare. Vedevo mio fratello fare atletica e allora mi sono ispirato a lui e – racconta sorridente Pietro ricordando quei momenti – ho trovato degli amici; adesso sono 7 anni che mi alleno a Rodengo”.

Accantonata la delusione, ora si deve pensare al futuro. Pietro è sicuro che non vuole smettere di correre. Ancora da decifrare le scelte di studio o di lavoro, magari in qualche corpo dell’esercito o qualcosa che gli permetta liberamente di mantenersi e continuare ad allenarsi. Lui è convinto che ci siano molti ragazzi nell’atletica, e in altri sport, che potrebbero dare di più, giovani con potenzialità elevate che non emergono proprio perché non trovano sulla propria strada qualcuno disposto ad aiutarli veramente e poi precisa: “Io mi ritengo fortunato perché sia in casa, che a scuola che ad allenamento ho sempre trovato persone apertissime e molto disponibili”. C’è rammarico nelle sue parole anche per la poca attenzione mediatica riservata all’atletica leggera “dovuta alla mancanza di un personaggio di culto e dall’altro dalla dipendenza che l’Italia ha dal calcio. Basti pensare che per rivedere l’atletica in prima pagina è dovuto morire Pietro Mennea”. Idee chiare e traguardo negli occhi. Resta da decidere se sarà quello delle olimpiadi: 2016 a Rio o 2020 a Tokyo. O perché no, entrambe le edizioni dei giochi a cinque cerchi?

M. TONINELLI 07 mag 2015 00:00