lock forward back pause icon-master-sprites-04 volume grid-view list-view fb whatsapp tw gplus yt left right up down cloud sun
Padova
di MASSIMO VENTURELLI 25 set 2020 09:10

Don Marco Pozza: più uguali con il virus

Don Marco Pozza è un volto noto al grande pubblico per la conduzione della rubrica televisiva “Le ragioni della speranza”, all’interno del programma “A Sua Immagine”. Don Marco ha ideato e condotto per Tv2000 “Padre nostro”, programma televisivo in nove puntate che ha avuto come ospite fisso papa Francesco. Non è questa, però, la dimensione principale del suo ministero. Il sacerdote, che si definisce “uno straccio di prete al quale Dio s’intestardisce ad accreditare simpatia, usando misericordia” è parroco a Padova e cappellano nel carcere “Due Palazzi”. Proprio in virtù di questo impegno a favore degli esclusi e degli emarginati dalla società gli organizzatori della 21ª edizione delle Settimane montiniane gli hanno assegnato il premio “Paolo VI – Civiltà dell’amore”. Don Marco sarà a Concesio sabato 26 settembre. Alle 18.30 presiederà la Santa Messa nella parrocchiale dei Santi Antonino martire e Paolo VI papa, e, alle 20.30, terrà la relazione “Come declino il mio ministero sacerdotale nel servizio ai carcerati e agli ultimi”. La sua presenza a Brescia è occasione per affrontare il tema di come il mondo del carcere abbia affrontato e stia uscendo dell’esperienza della pandemia

C’è la sensazione che le settimane del lockdown adottate per arginare la pandemia abbiano cancellato quel poco di attenzione che il mondo del carcere aveva conquistato nell’opinione pubblica...

Personalmente mi sarei sorpreso del contrario: il carcere, nell’immaginario collettivo, resta il paese-dimenticato, il luogo in cui più le cose vanno male meno la serenità viene turbata, anzi: “In fin dei conti se la son cercata, di cosa si lagnano?” pensano i più. Per essere attenti al carcere occorrerebbe appassionarsi dell’umano sofferente, avere a cuore la curiosità per Cristo e i suoi segreti percorsi, scandagliare l’uomo nel momento più sincero: quello dell’errore, della caduta, del misfatto. Il male non va giustificato, ma cercare di comprendere le ragioni che hanno portato una persona a compiere un gesto è un guadagno a favore di tutti: per non ripetere lo sbaglio, per redimere, per tentare di ripartire. Oggi la grammatica della vendetta, dell’astio, di una giustizia solamente punitiva sono una forma di comodità colossale per il cervello, per l’anima (anche di chi crede, purtroppo). Sento un Papa troppo solo nel riportare Cristo dentro i cuori di chi dice di credere! Peccato che, così facendo e vivendo, ci perdiamo l’appuntamento con l’uomo proprio nel momento in cui, sentendosi immeritatamente amato, sarebbe più sul punto di ravvedersi. È la vita!

Come hanno vissuto i detenuti il periodo di “isolamento sociale”?

Ognuno l’ha vissuto “su misura”: chi aspettando che finisse, chi maledicendo il destino avverso, chi prendendosela con le istituzioni. A me hanno incuriosito, però, coloro che hanno vissuto questo periodo abitandolo, ponendosi la domanda: “Tutto ciò che sta accadendo, cosa sta dicendo alla mia storia personale?”. Tra costoro, che con mia grande sorpresa non sono proprio pochi, ho visto sorrisi rinascere: sentendosi sullo stesso piano di tutti - “Il virus, don Marco, ci ha resi tutti uguali” mi ha detto qualcuno – si sono sentiti meno emarginati.

Quanto ci vorrà perché questo mondo che in tanti, almeno a parole, dicono parte integrante della società, riconquisti il diritto di cittadinanza che merita?

Non accadrà mai, probabilmente. Ridare cittadinanza alla popolazione detenuta non è una sfumatura evangelica, ma civile: fa parte del sogno nascosto nella Costituzione più bella del mondo (quella italiana), ma se non mette radici diventa un seme e un sogno che si secca, invece che portare frutto. Non so quanto tempo serva perché alle persone detenute venga ridato il loro diritto alla cittadinanza: probabilmente è lo stesso tempo che serve perché ciascuno conceda alla propria anima il lusso di sapersi peccatrice, slabbrata, imperfetta. Quando l’uomo e la donna sapranno riconoscersi peccatori-perdonati, allora verrà spontaneo usare un po’ più di misericordia verso chi ha sbagliato. E, pagando, tenta di rialzarsi.

MASSIMO VENTURELLI 25 set 2020 09:10