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Brescia
di RAFFAELLA FALCO 05 set 2025 10:55

Frassati: nelle sfide con un ideale più alto

Pier Giorgio Frassati nasce il 6 aprile 1901 in una Torino che vive la novità del nuovo secolo e degli anni Venti, destinata a trasformarsi in una delle più importanti capitali della cultura e del pensiero della Belle Époque. I lunghi viali trasmettono un’atmosfera sospesa tra Roma e Parigi, con il tipico respiro sabaudo e il desiderio di riscatto che si fa anche protesta e rifiuto di valori e tradizioni della città segnata da una grande anima cattolica, che solo pochi anni prima aveva visto l’opera di Giovanni Bosco, Giuseppe Cafasso e Giuseppe Cottolengo. Torino, ricca di contraddizioni, dà i natali al nuovo Santo che cresce con una personalità forte, esuberante e giovanile, capace di amare la bellezza, il creato, l’avventura, la musica e, nello stesso tempo, di entrare nella profondità dell’intimità con l’Assoluto, con quel Dio che è origine della bellezza e attrazione della verità. Per ricostruire il profilo di Pier Giorgio Frassati abbiamo intervistato don Andrea Dotti, assistente spirituale del Centro culturale Pier Giorgio Frassati.

Don Andrea, sappiamo quanto la famiglia possa gettare le basi per una solida vita di fede. Nel caso di Frassati forse le cose sono andate diversamente...

Sì, erano altri gli interessi dei genitori. Il padre Alfredo, senatore del Regno, è un uomo d’azione pragmatico, con una intensa carriera politica: il più giovane senatore della prima convocazione del Senato italiano; nel 1920 diventa ambasciatore d’Italia a Berlino, per poi dimettersi dissociandosi dalla marcia su Roma e scegliendo di non legare la propria carriera al regime fascista. Nel frattempo, la madre di Pier Giorgio, Adele Ametis, si dedica con passione alla pittura, arrivando anche a esporre in contesti internazionali e ottenendo una certa notorietà. Dietro l’impegno pubblico e culturale dei genitori si nasconde però una fragilità di coppia: il matrimonio è segnato da difficoltà e, per Pier Giorgio, sarà la presenza della sorella Luciana, di poco più giovane di lui, la più grande risorsa familiare.

Come, invece, sarà la scuola il luogo in cui Pier Giorgio potrà conoscere e respirare una fede che cambia la vita?

La vicenda scolastica e accademica di Pier Giorgio è segnata dalla fatica che accompagna la maggior parte dei ragazzi negli anni dello studio. Durante il liceo subisce una bocciatura in latino, che lo porta a cambiare scuola passando dall’Istituto Massimo D’Azeglio a quello retto dai padri gesuiti dove cresce anche la sua vita di fede. Completati gli studi liceali, davanti a lui si apre la possibilità di una carriera all’interno della redazione del giornale del padre, ma egli sceglie diversamente: si iscrive a ingegneria mineraria. Il suo intento è chiaro: entrare nei luoghi della vita più difficile dei suoi contemporanei, quella dei minatori, per poter contribuire con il suo studio a migliorarne le condizioni. Egli considerava gli ambienti della scuola e dell’università come spazi di crescita per la testimonianza cristiana. Allo studio univa la capacità di vedere nella comunità scolastica un luogo di autentico slancio missionario. Questo si manifesta in modo particolare negli anni universitari. Nonostante un percorso accademico che non sempre procede in maniera spedita, Pier Giorgio sa rendersi anima dell’università dove, al suo arrivo la mattina, porta l’entusiasmo che nasce dall’avere Dio dentro di sé.

I gruppi di amici sono spazi di relazione e realizzazione per i ragazzi, oggi come allora. Pier Giorgio appartiene a una strana compagnia...

È da sempre il leader della “compagnia dei tipi loschi”, in cui appuntamenti per passeggiate in montagna, pellegrinaggi, cene, scherzi e momenti condivisi riempiono la vita e fanno sentire parte di una comunione autentica e libera, che è la vera amicizia. Pier Giorgio vi aggiunge una nota in più: la ricerca della salvezza integrale dei propri amici. Egli desidera che tutti siano salvi e che, attraverso l’amicizia, possano crescere e fortificarsi negli spazi e nei momenti di incontro con Dio e nella preghiera. Lo sguardo è sempre rivolto all’attualità, a quanto offre la realtà, ma lanciato verso un ideale più grande: essere attirati all’altezza di Gesù Cristo. Per questo, all’interno di un clima goliardico, Pier Giorgio assume il soprannome di “Robespierre” nella cosiddetta “campagna del terrore”, fatta di scherzi reciproci tra amici e amiche, ma anche in questo gioco egli sa portare una missione: essere l’amico vero, presente, affidabile, con il quale ci si può confrontare e che sa rilanciare sempre verso l’alto.

Come vive, da giovane, il tempo di trasformazione sociale e valoriale in cui la sua generazione è coinvolta?

I valori su cui si erano costruiti i percorsi delle generazioni precedenti cominciano a vacillare. In questo contesto emerge una forte spinta laicizzante e anticlericale tra i suoi coetanei, che egli contrasta con decisione attraverso il suo protagonismo. Sarà presente in eventi sia a Torino che a Roma, dove i giovani cattolici iniziano a esprimere un certo distacco rispetto ai loro coetanei che subiscono il fascino dei nuovi movimenti, in particolare di quello fascista. Così, Pier Giorgio sarà tra i più giovani sostenitori dell’esperienza popolare di don Luigi Sturzo, disposto al sacrificio per i propri ideali, come quando, durante una manifestazione a Roma, è picchiato e posto in fermo perché si era lanciato a difendere il gagliardetto della sua sezione cattolica. Pier Giorgio non rimane indifferente alle sfide del suo tempo: sa cosa significa essere parte attiva della società, testimoniando con coerenza, slancio giovanile e forza, che nessuna esperienza umana è estranea a chi, guardando a Cristo, riconosce e vive un modello di umanità nuova, la civiltà dell’amore.

Un impegno sociale che non indietreggia davanti ai bisogni della gente...

In Pier Giorgio c’è slancio totale verso la carità, rivolta a ogni forma di povertà e a ogni povero. Disoccupati, malati e bisognosi della città di Torino trovano in lui un amico. I funerali solenni si svolgono il 6 luglio 1925 nella Cattedrale di Torino, due giorni dopo la sua morte, causata da una poliomielite fulminante, probabilmente contratta durante le sue visite ai poveri nei quartieri più degradati. Poiché è morto il giovane figlio ventiquattrenne del senatore Frassati, tra i banchi della cattedrale siedono le autorità e l’élite torinese. La vera sorpresa, però, si verifica all’esterno: piazza Castello completamente gremita dai poveri della città, venuti a salutare il loro amico. Pier Giorgio, con discrezione e nel silenzio, aveva visitato ciascuno di loro, portando sostegno, aiuto materiale e soprattutto un’amicizia speciale che si trasformava in fraternità. La sua carità non fu mai solo assistenza, ma condivisione, comunione, realizzazione del Vangelo.

Perché la Chiesa dovrebbe guardare a questo giovane, morto cento anni fa, come modello?

La vita di Pier Giorgio è vera, vissuta con slancio in tutti gli ambiti: la scuola, l’università, la famiglia, la compagnia degli amici e dei poveri. Nessun momento della sua vita fu mediocre, neppure laddove si tendeva a favorire una vita senza slancio, più comoda e meno problematica, dove i grandi desideri erano spesso sostituiti dalla soddisfazione dei piccoli bisogni. Pier Giorgio continua ancora oggi a chiamarci a una vita piena, non superficiale, connotata dall’amicizia con Cristo, dall’intimità con Lui, dalla partecipazione all’Eucaristia, vissuta e rilanciata verso il prossimo, specialmente verso chi è in difficoltà, e verso gli amici. Assomigliare a Piergiorgio significa essere giovani capaci di guardare al proprio cammino con determinazione e con la consapevolezza che solo con Cristo ogni vita può essere davvero piena. Questa è la santità di Pier Giorgio e la santità di cui abbiamo bisogno ancora oggi: per vivere e non vivacchiare.

RAFFAELLA FALCO 05 set 2025 10:55