HIV: in Africa solo il 70% ha le terapie
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All’inizio, quando l’Oms ha lanciato l’obiettivo ero molto scettico ma credo che con le terapie sia effettivamente possibile almeno in Occidente, mentre in Africa, dove ogni anno un milione e mezzo di persone si infetta, temo sarà più difficile. In Italia le nuove diagnosi riguardano le persone più adulte, fra i 40 e i 50 anni. Di Aids non si muore quasi più grazie alle cure e anche la trasmissione è meno diffusa grazie alle terapie, che sono capaci di ridurre la carica virale in coloro che sono sieropositivi.
Nonostante le strategie di prevenzione, nel nostro Paese, secondo l’Istituto superiore di sanità, i contagi sono tornati ai livelli pre-pandemici. Cosa occorre ancora fare per aumentare la sensibilità al tema?
Serve più informazione, capire qual è il target perché occorre andare mirati alle persone più a rischio. Occorre informare sulla Prep che è una profilassi efficace per coloro che hanno comportamenti a rischio e che generalmente non si proteggono. La Prep costa poco e inoltre consente di entrare in percorsi diagnostici precoci estesi alle altre infezioni sessualmente trasmissibili. È per questo che l’Oms preme per diffondere la Prep in Africa, visti i numeri nel Continente, dove solo il 70% è raggiunto dalle terapie.Se dessimo i farmaci della profilassi che coprono ancora più a lungo avremmo altri numeri di diffusione. Non ho mai visto nella storia della medicina altri medicinali che proteggono in questo modo. Ci sono delle prospettive che mi fanno pensare che l’obiettivo sarà molto vicino. Certamente, lo sarà meno nel Global South.
I test sono sempre più accessibili in Italia?
Sì, ormai il test è eseguibile non solo in ospedale ma anche in farmacia con una puntura sul dito.
Esiste uno stigma verso la malattia?
Sì, sebbene sia incomprensibile perché esistono le terapie. Sappiamo che l’Hiv si trasmette solo per via sessuale, ma che l’aspettativa di vita è molto simile a chi non è infetto. Anche la qualità della vita è migliorata, sebbene la cura sia per sempre. Le diagnosi tardive inoltre significano che il virus è rimasto nell’organismo a lungo provocando infiammazioni. Proprio per questo si spinge affinché la persona che sa di essere a rischio faccia i test: sia per evitare ulteriori contagi sia per iniziare subito la terapia ed evitare effetti ulteriori.Nel mondo ci sono poi le discriminazioni o addirittura le pene detentive nei confronti dei tossicodipendenti, come ad esempio nei Paesi dell’Europa dell’Est, o degli omosessuali in Africa che si nascondono, hanno paura di essere malati e per questo non si curano.
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ELISABETTA GRAMOLINI
01 dic 2024 08:20