Il no alla guerra di giovani preoccupati
Le risposte date da 4.000 adolescenti a una consultazione online (attiva fino al 19 dicembre), sul portale "iopartecipo" dell’Autorità Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza
Se l’Italia entrasse in guerra ti arruoleresti?”. A questa domanda, rivolta a un campione di circa 4.000 giovani tra i 14 e i 18 anni, il 68% ha risposto un secco “no”. La consultazione, ancora in corso (attiva fino al 19 dicembre), sul portale “iopartecipo” dell’Autorità Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza, è stata avviata - spiega Marina Terragni, garante nazionale - “per colmare un vuoto di informazione sul sentimento degli adolescenti in relazione ai conflitti in corso e allo scopo di fornire alle istituzioni spunti di riflessione”.
In effetti, le 32 domande del questionario non si limitano a sondare la disponibilità dei giovani ad arruolarsi, ma indagano anche il loro livello di informazione rispetto ai conflitti in corso del mondo, le modalità con cui raccolgono notizie, nonché le emozioni che provano di fronte a immagini di guerra, il modo in cui concepiscono il proprio ruolo nel processo di costruzione della pace. Secondo la prima analisi dei dati, i conflitti nel mondo rappresentano una delle principali preoccupazioni per i giovani, più rilevanti del cambiamento climatico.
Già lo scorso anno l’Ordine degli psicologi della Lombardia, in collaborazione con Unicef, avvertendo l’urgenza di un tema ormai sempre più centrale nella quotidianità degli adolescenti, aveva realizzato un documento dal titolo “La percezione della guerra e il diritto a essere informati”.
Incrociando i dati di entrambe le ricerche emerge che i ragazzi sono informati su ciò che sta accadendo nel mondo e reperiscono la maggior parte delle informazioni sul web e in tv, sebbene dichiarino di sentire il bisogno di informazioni più chiare, affidabili e approfondite. Vogliono conoscere cause, dinamiche geopolitiche, conseguenze economiche e umanitarie. Non sono in cerca di letture ideologiche o slogan: necessitano di spiegazioni.
Il quadro offerto rovescia, quindi, un pregiudizio diffuso sugli adolescenti, secondo il quale essi sarebbero disinteressati alla “complessità del mondo reale". Al contrario, mostrano un bisogno di approfondimento che la scuola - secondo loro - non riesce ancora a soddisfare pienamente. Le lezioni scolastiche, infatti, sembrano affrontare “marginalmente” argomenti che per gli adolescenti hanno carattere di urgenza.
Significativi sono anche i sentimenti e le emozioni che gli intervistati hanno dichiarato di provare nei confronti dei conflitti in corso del mondo: la metà di loro parla di ansia, tristezza e paura. Circa un terzo degli intervistati afferma di stare “male” pensando alla guerra. Un altro 17% riporta preoccupazione, e una parte non trascurabile dice di sentirsi confusa, impotente o arrabbiata.
Gli stati d’animo illustrati si riferiscono, in maniera più ampia, a che cosa significa oggi essere giovani in un mondo percepito come fragile, in balìa di crisi climatiche, instabilità geopolitiche, pandemie, precarietà economica. La guerra, in questo modo, si trasforma in un catalizzatore emotivo in cui confluiscono altre fragilità e incertezze.
Non mancano naturalmente i ragazzi che dichiarano di non sentirsi coinvolti – il 31% – ma anche in questo caso il dato va letto con attenzione. Non significa indifferenza: può voler dire saturazione, distanza protettiva, oppure sfiducia nelle istituzioni informative. La disconnessione, in certi casi, è una forma di autoconservazione psicologica.
Dalle indagini emerge anche una riflessione sull’ascolto: circa un terzo dei giovani riferisce di essere ascoltato quando parla della guerra, alcuni dichiarano di rinunciare a parlarne.
C’è poi un dato molto toccante: più della metà dei ragazzi invierebbe ai coetanei in zone di guerra un messaggio di incoraggiamento, consolazione o speranza. Nessun cinismo, nessuna distanza ironica. Solo l’essenziale umanità dell’adolescenza: “Non mollare. Le cose miglioreranno”.
La capacità di mostrare empatia, consapevolezza e solidarietà ci ricorda che il ruolo degli adulti non è solo informare, ma sostenere emotivamente e moralmente questi slanci. La guerra, per gli adolescenti, non è un semplice telegiornale di sottofondo. È una presenza emotiva, un interrogativo sul futuro, un banco di prova della loro capacità di comprensione e della nostra capacità di accompagnarli nel viaggio della vita.