lock forward back pause icon-master-sprites-04 volume grid-view list-view fb whatsapp tw gplus yt left right up down cloud sun
Forlì
di WWW.VITA.IT 22 mag 2023 08:01

Nella tragedia lo spettacolo dei volontari

Ascolta

Paolo Venturi, professore dell'Università di Bologna a Forlì, grande esperto di economia civile, ha raccontato a www.vita.it le ore della paura vissuta in Emilia Romagna e dell'autorganizzazione dei giovani. E ragiona di cosa insegni questa tragedia per i giorni a venire. Innanzitutto che il volontariato andrà coinvolto rapidamente nella ricostruzione…

“Portare giù da Galeata mio babbo, Antenore, 82 anni, è stata dura: non che fosse in pericolo ma quella strada era a rischio e sarebbe rimasto isolato. Convincerlo, però, non è stato semplice”. La voce di Paolo Venturi, riportata da www.vita.it, arriva da Forlì, dove l’alluvione ha picchiato duro: tre morti, 5mila sfollati, 227 frane che hanno cambiato i connotati dell’Appennino. E danni inestimabili, ovviamente.

Venturi, è economista dell’Università di Bologna, nella cui sede forlivese dirige l’Associazione Italiana per la Promozione della Cultura della Cooperazione e del Non Profit-Aiccon, il centro studi promosso dall’Alma Mater, dall’Alleanza delle Cooperative Italiane e da numerose realtà profit e non. A emergenza attenuata – “qui è una tragedia”, affermavca già mercoledì mattina, stiamo recuperando amici e loro figli per portarli via da case inagibili” - a emergenza attenuata, dicevamo, lo cerchiamo per avere una riflessione del giorno dopo, che provi a guardare il futuro, imminente e più lontano.

Cosa insegna questa tragedia?

Che qui non ci sarà solo da ricostruire, si dovrà anche ripensare lo sviluppo di un intero territorio, la Romagna. Le cartoline dell’Appennino, sono da buttare, ma nella tragedia, sta emergendo un’amicizia civile, fra sconosciuti, che è profondissima, nel senso che il bisogno di essere utili è evidentissimo: da un lato tutti sappiamo che poteva toccare a noi e tutti hanno qualcuno vicino che è stato toccato e, nel contempo, c’è in moltissimi il desiderio di essere utili. C’è una sorta d misteriosa letizia di andare nei luoghi del disastro. Un volontariato fatto da tanti, tantissimi giovani: certo incentivato dal fatto che le scuole sono chiuse, ma resta il fatto che questi giovani decidano, si autorganizzino per andare nei punti nei quartieri e dare una mano. Ed è una cosa eccezionale.

E di che fenomeno si tratta, professore?

È qualcosa che nasce nell’emergenza, però fa venire fuori il senso e il cuore anche di tutta la recente discussione su volontariato (del calo di persone impegnate, registrato dall’Istat, ndr). Perché normalmente l’agire volontario è stato decodificato nella sua dimensione formale, quella che appunto l’Istat lègge, l’impegno formalizzato, incorporato in organizzazioni, piattaforme. Il volontariato di queste ore, di questi giorni è, in parte un’altra cosa, sfugge ovviamente a queste categorie.

Cosa dice questo dato?

Ci dice che il volontariato ha questa dimensione: da un lato istituzionale e dall’altra di un’urgenza, di un desiderio, di un’idea che non sta nel gratis – ché il volontariato non coincide col gratis ma con la gratuità, che è diverso. Qui, in queste ore, è venuto fuori questo tipo di volontariato, specialmente nei più giovani, nei ragazzi sono desiderosi di condividere quel tipo di esperienza. Essendo utili, pragmaticamente utili, non si sentono altruisti: si danno appuntamento, si raccontano quel che stanno facendo.

Vale solo per loro?

Non solo, vale anche per le aziende, che han lasciato liberi i lavoratori di andare a fare i volontari. C’è un’attivazione che evidenzia, non solo un desiderio di solidarietà ma di fraternità. Chessò c’è quello che, avendo tre auto le condivide, l’altro che è titolare di una lavanderia che si offre di lavare i panni infangati. Una sharing economy del bene.

Un movimento, insomma…

Che nasce, è vero dall’urgenza di un dramma, dalla spinta di una emergenza, ma fa in qualche modo risorgere la possibilità di un’esperienza che stanca ma che fa tornare a casa felici. Questa l’essenza che riscopriamo qui, in questi giorni. Qualcosa che non sta nell’azione, la quale certo non manca, e che non sta neanche nelle persone, che son tante, ma sta di più nella qualità dell’esperienza, nella significatività, nella rilevanza della proposta, che è totalmente libera e autorganizzata. E per famiglie che avevano fatto il mutuo, che hanno figli e si ritrovano la casa distrutta, vedere questa mobilitazione, questi volti, è come rivedere la luce.

Come dei nuovi “angeli del fango”, si è detto, come quelli che da tutto il mondo arrivarono a Firenze nel 1966.

Sì ma i ragazzi di questi giorni riportano a casa un’esperienza pazzesca. Chiedendogli se si sentono angeli, non so che cosa risponderebbero. Di certo, se fossero stati chiusi in casa, impossibilitati ad andar lì, si sarebbero sentiti male.

Il punto qual è, Venturi?

Che queste vicende fanno riemergere la nostra natura, che è una natura relazionale, la vita di comunità è la vita tout court. E sono tutti legami: uno ha un amico, l’altro la compagna, c’è una grande interdipendenza che emerge. E dovrebbe essere pedagogia per il dopo.

Allora, cosa ci insegnano questi fatti, per il dopo?

Il dopo non potrà essere solo riqualificazione: c’è da rigenerare tutto. A parte che il cambiamento climatico muta tutta le categorie di sicurezza: dopo questa esperienza, nessuno si sente più sicuro. Il tema non è più solo ritirare su gli argini ma cambiare totalmente le logiche con cui si allocano e si spendono le risorse. Seconda cosa: considerato che il volontariato e il Terzo settore sono sostanzialmente un’azione imprescindibile, potente e pubblica, bisogna coinvolgerli presto nei processi di rigenerazione del dopo. Sennò per l’ennesima volta sono ridotti solo tappabuchi. D’altra parte la sicurezza è meccanismo collettivo, anzi starei per dire comunitario, che ha bisogno di logiche diverse.

WWW.VITA.IT 22 mag 2023 08:01