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Civitanova Marche
di REDAZIONE 01 ago 2022 07:29

Vittima di rabbia ancestrale e indifferenza

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La morte assurda a Civitanova Marche del 39enne Alika Ogorchukwuch, ucciso dalla violenza di un 32enne nell'assoluto immobilismo dei presenti

Inseguito e colpito a mani nude nel pieno centro di Civitanova Marche, pestato e schiacciato a terra per tre quattro minuti fino alla morte. Così è stato ucciso il venditore ambulante nigeriano 39enne Alika Ogorchukwuch - un uomo tranquillo che aveva appena ottenuto il rinnovo del permesso di soggiorno, claudicante per aver subito un investimento - nei giorni scorsi lungo Corso Umberto, senza che nessuno dei passanti abbia mosso un dito. “Una paura che, diventando scenografica e spettacolare, rappresenta una maggiore esaltazione dello spirito di violenza”. Con questa lucidissima constatazione, il parroco don Mario Colabianchi, dell’unità pastorale San Pietro-Cristo Re di Civitanova Marche, “fotografa” a caldo il drammatico pestaggio a morte ache ha visto vittima Alika Ogorchukwu, sposato e padre di un bambino. Un fatto che lascia sgomenta l’intera cittadina marchigiana, mentre in rete circola un video girato da chi, nell’indifferenza generale, “invece di intervenire, ha filmato l’orrore”. Don Mario conosceva Ogorchukwu, venditore ambulante di fazzoletti e piccoli accessori che era ricorso anche al sacerdote:

“Era un uomo mite, veniva a bussare anche alla mia porta e a mia volta, aiutandolo, gli ricordavo che non basta portare il rosario al collo, occorre vivere coerentemente la fede cristiana. Oggi impera il terrore di immischiarsi, ma io credo vada fatta una scelta di fondo verso la non violenza e l’attenzione ai più deboli”.

Fa poi riferimento alla giustizia, don Colabianchi, “che va invocata e che, per vincere il male, non va sottomessa alla logica della vendetta”, specie in questo tempo particolare in cui è urgente “percorrere la strada delle relazioni, attraverso la ricerca del bene, nel senso dell’accoglienza, sfatando il criterio amico/nemico, la dinamica della supremazia, per coltivare semi di fraternità e riconciliazione”. L’‘antidoto’ è dunque quello di rimetterci in gioco e renderci prossimi, facendoci carico dell’ascolto, dell’accompagnamento (spesso anche silenzioso), della fraternità e dell’amicizia verso l’altro”.

“L’uomo che è stato ucciso era uno straniero di colore, chiedeva l’elemosina ed era disabile. Una persona, azzardo a dire, che agli occhi di un certo mondo, probabilmente non aveva i requisiti del rispetto e della dignità. E l’uomo che lo ha ucciso forse si è sentito in obbligo, in dovere non so, di punirlo, fino a ucciderlo. Una cosa bestiale”. Questo, invece, è  il commento di don Vinicio Albanesi, presidente della Comunità di Capodarco.

“Il 39enne nigeriano è stato trattato peggio di un animale e questo naturalmente la dice lunga sulla mancanza di umanità. Al di là di quanto che è successo, infatti, il sentirsi autorizzati a colpire fino ad uccidere, da una parte mette in luce la presenza, in alcune persone, di una rabbia ancestrale, una forma primitiva incontrollabile, dall’altra rende evidente un’assoluta mancanza di relazione con chi è diverso da noi. Probabilmente questo signore, tenendo conto di tutte queste componenti, alla fine si è sentito libero di ammazzarlo”.

Forti sono anche le parole che don Albanesi usa anche nei confronti di chi, piuttosto che intervenire per cercare di mettere fine all’aggressione, ha preferito filmare il tutto.

“La nostra società – afferma al proposito - ha concentrato su di sé il proprio interesse e la propria attenzione e quindi il pensiero del “chi me lo fa fare” è divenuto ancora più forte, più pressante. È l’esplosione dell’io che preferisce rimanere spettatore di qualcosa salvo però quando gli eventi ci toccano personalmente. In quel caso la musica cambia, ci si lamenta dell’indifferenza e del perché nessuno sia intervenuto. Aprire il telefonino e riprendere un fatto, nel bene e nel male, fa perdere il contenuto del fatto stesso e tutte le sue ricadute. Voglio dire che attraverso la ripresa del telefono si ripete questa supremazia di sé, che si incarna nella ripresa in diretta, nell’essere in possesso dell’immagine, e allora non sono più un semplice testimone ma il protagonista, almeno nel web, di quanto accaduto. E tutto questo altro non è che una ricerca di sé stessi”.

REDAZIONE 01 ago 2022 07:29