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03 giu 2016 00:00

In tema di libertà di espressione

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Sui social e su alcuni quotidiani locali imperversa da qualche giorno una polemica che ha preso spunto da un tweet della Vicesindaco Laura Castelletti che, in soldoni, dava dell’omofobo al giovane curato di una Parrocchia cittadina. Il motivo del simpatico cinguettio? L’aver esposto in Oratorio uno di quei cartelli che si sono visti campeggiare in tivù in occasione del Family Day del 30 gennaio scorso.

Il testo del cartello? “Sbagliato è sbagliato, anche se dovesse diventare legge”, nient’altro. Bene, prima di scaldarci e sbilanciarci per l’una o per l’altra parte proviamo a fare un profondo respiro ed a seguire assieme un tentativo di ragionamento. Per omofobo, nell’accezione ormai corrente (in pratica ciò che, nel bene o nel male, la gente ormai capisce), si intende più o meno colui che è ossessionato dall’omosessualità e dalle persone di orientamento omosessuale, persone che, “naturalmente”, sono oggetto del suo odio. Sì, così come vuole la recente vulgata: se io non sono d’accordo con il comportamento di una persona o di un gruppo per forza li odio. Per gli avanzati standard post-cristiani del nuovo e asfissiante moralismo dilagante, stranamente simili a quelli di Facebook, non c’è proprio alternativa. Il ragionamento? Il dato di realtà? La logica? Il confronto? Il riferimento ad uno stratificato universo valoriale? Niente: non sei d’accordo con me? Allora mi odii. Punto. Atteggiamento che, se si vuol dare una sbirciatina alla tristissima cronaca recente, fa il paio con: sei la mia ragazza e mi vuoi lasciare? Non lo posso tollerare, devo eliminare il motivo della “sofferenza” che mi provochi: ti elimino. Punto. Per gli standard della Chiesa Cattolica (si chiamano “Magistero”), dedotti dal Vangelo, dall’esperienza dei Santi e dalla Tradizione, una persona può invece tranquillamente non condividere il comportamento di un’altra o di una categoria senza per questo esserne necessariamente ossessionato e, soprattutto, senza odiarla. Anzi…

Una persona, per i citati standard, se così possiamo continuare a chiamarli, può addirittura arrivare ad amare i suoi nemici: atteggiamento giustamente ritenuto inumano perché possibile soltanto avendo come unico faro di Verità il Cristo Crocifisso. Atteggiamento unico e veramente rivoluzionario, oggi normalmente dimenticato, che ha senz’altro contribuito alla costruzione della civiltà occidentale e che, fino all’altro ieri, fondava normalmente il sentire comune anche di chi non si professava cattolico. Tutto ciarpame da buttare a mare dopo averlo passato al setaccio delle sopra citate e progressive categorie di “giudizio”?

Ricordo al riguardo come negli anni ’60 lo stesso Fabrizio de Andrè, nella poco celebre “Si chiamava Gesù”, riferendosi alla Passione di Cristo pur da un punto di vista rigorosamente laico ma inevitabilmente inzuppato di cristianesimo scrivesse: “Ma inumano è pur sempre l’amore di chi rantola senza rancore”. Ebbene, alla luce di quanto sopra, mi chiedo: è logico, saggio, prudente e rispettoso della persona che istituzionalmente non fa altro che professare liberamente e pubblicamente il Magistero della Chiesa (che non contempla come lecite le unioni tra coppie dello stesso sesso ma che, ripeto, esclude nel modo più assoluto l’odio verso queste ultime), appioppargli un simile appellativo? E già che parliamo di istituzioni: rientra forse nei compiti di una Vicesindaco bollare con un ormai omologato marchio d’infamia un libero cittadino nel pieno esercizio della propria libertà d’espressione? O la libertà, oggi, va assicurata solamente a chi non disturba il manovratore?
03 giu 2016 00:00