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di GIANNI ANGERO 29 giu 2021 00:43

Io, orfano, ringrazio Brescia

Scrivo questa lettera alla vostra redazione perché non sapevo come ringraziare il gran cuore della città di Brescia. Sono nato nel 1945, rimasto orfano sono entrato nel 1953 all'Istituto Razzetti di Corso Milano e vi sono rimasto fino al 1956. Ho letto che una mamma raccontava alla figlia che vedeva i ragazzini del Razzetti partecipare infreddoliti ai funerali dei benestanti di Brescia. Io ero uno di quelli, ma ciò che mi colpiva di più non era il freddo e la pioggia ma le vedove e i bambini che si aggrappavano alla bara. Ricordo anche gli sguardi e i commenti compassionevoli dei presenti.Non posso che ringraziare l'Istituto Razzetti. Erano anni di povertà estrema, io provenivo da un povero paese veneto ora ricca cittadina. Quando sono entrato al Razzetti ho visto per la prima volta il water e il termosifone. I locali erano riscaldati, si mangiava abbastanza bene, il pane abbondante veniva fatto internamente, arrivavano puntualmente (ero addetto allo scarico) i camion della POA , degli aiuti USA e la frutta del mercato ortofrutticolo.

Le suore, eccetto una slava, erano buone con noi, cercavano di farci passare bei momenti e riuscivano pure a mandarci in vacanza in montagna (trenino fino a Marone e salita a piedi a Zone). In parlatorio avevano spesso contatti con le mamme. A Natale venivano a farci visita dei signori di Brescia, ci regalavano dolci e giocattoli che altrimenti non avremmo mai visto. Ricordo di aver avuto come insegnante una maestrina che a fine anno scolastico ci invitava nella sua villa di famiglia a Mompiano (se non sbaglio), la “signora madre“ ci offriva la merenda e il gelato in coppetta (i primi). Non ho mai visto o sentito parlare di abusi e le uniche punizioni (schiaffi nel sedere da parte delle inservienti) erano per i bambini (in realtà molti) che facevano pipì a letto e venivano svegliati alle 3 di notte per essere lavati e cambiati. Enuresi notturna che qualsiasi psicologo saprebbe spiegare. Qualche scapaccione o bacchettata sulle mani non mancava. Voglio dire, non era una vita gioiosa ma non peggiore della vita che si conduceva esternamente. D'accordo mancava la libertà, ma a cosa serve quando si è in miseria? Ciò che mi meraviglia oggi, vedendo i miei nipoti, è che allora al Razzetti, 300 bambini, nessun problema alimentare o allergia, l'infermeria solo per chi cadeva giocando a pallone.

Nell'ottobre del 1956 dal Razzetti passo alla Pavoniana, vicino agli stabilimenti OM. Vi rimango cinque anni durante i quali, oltre all'avviamento, apprendo l'arte tipografica da capaci maestri. Ciò mi ha permesso di avere subito un lavoro qui a Verona, poi di dar vita ad un'azienda grafica ora ereditata dai miei figli. Insomma, grazie grazie Brescia. Soffrivo quando vedevo che eri massacrata dal Coronavirus. Ho imparato su una linotype mod. 1 che portava ancora i segni delle bastonature dei fascisti. Penso provenisse dalla tipografia de La Voce del Popolo o forse da Il Cittadino.

GIANNI ANGERO 29 giu 2021 00:43