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di GIANMARIA SPAGNOLETTI 16 apr 2018 10:50

Usa-Russia: una lezione da Guerra e Pace

Se si volesse dare un consiglio al Presidente degli Stati Uniti, quello sarebbe di leggere “Guerra e Pace” di Tolstoj, o per lo meno, farselo riassumere (sono quattro volumi!) per capire che fare guerra alla Russia non è solo impossibile: è un suicidio

Scrivo mentre tutti i telegiornali si stanno occupando dell’attacco missilistico lanciato da USA e Gran Bretagna in territorio siriano, come “punizione” per l’uso di armi chimiche da parte di Assad. In pratica, il presidente siriano avrebbe appoggiato l’uso di gas cloro contro il suo stesso popolo, proprio nel momento in cui sembrava vicina la sua vittoria nella guerra civile siriana. Ci vuole poco a capire che il pretesto è assurdo, e ancora più assurdi sono i raid “mirati” che sembrerebbero aver causato pochi danni, anche se ora la guerra tra USA e Russia è più vicina. Se ciò dovesse effettivamente succedere, a meno che non si arrivi a un conflitto nucleare (nel qual caso sarebbe probabile la distruzione completa dell’umanità), l’alternativa sarebbe di impegnarsi in uno scontro prolungato che ridurrebbe allo stremo i contendenti: più gli USA che la Russia o la Cina; di sicuro verrebbero ridotti in macerie tutti quelli presi nel mezzo. Io che scrivo queste righe non ho alle spalle né lauree in Studi Strategici o Relazioni Internazionali, né esperienze sul campo. Tuttavia so che lezioni importanti possono venire dalle fonti apparentemente più “improbabili”, e per questo non vengono affatto considerate. Questo è tanto più vero quando si parla delle guerre che hanno coinvolto la Russia.

Se si volesse dare un consiglio al Presidente degli Stati Uniti, quello sarebbe di leggere “Guerra e Pace” di Tolstoj, o per lo meno, farselo riassumere (sono quattro volumi!) per capire che fare guerra alla Russia non è solo impossibile: è un suicidio. Napoleone la attaccò il 21 giugno 1812, all’apice della sua potenza, con 700 mila uomini (un numero immenso per quei tempi). L’inizio in piena estate avrebbe dovuto garantire il successo della campagna; ma nonostante due battaglie contro le truppe francesi alla Beresina e Borodino, le armate russe continuavano a evitare di impegnarsi in uno scontro decisivo preferendo ritirarsi, mentre il caldo soffocante opprimeva le truppe della Grande Armata, i temporali rendevano impraticabili le piste, trasformate in mari di fango, e i cavalli cominciavano a morire di fame. I fanti non stavano meglio: affaticati dalle marce, indeboliti dalle malattie, potevano contare solo su rifornimenti limitati dato che, secondo i piani, l’offensiva sarebbe dovuta essere essere rapida e di breve durata. Le truppe russe continuavano a ritirarsi, incendiando i loro stessi villaggi e campi coltivati, secondo la tattica della “terra bruciata”. Mosca, in preda alle fiamme, fu raggiunta da Napoleone alla metà di settembre, mentre dalla Siberia si metteva in moto una perturbazione fredda: il “Generale Inverno”. Col peggiorare del tempo, i russi ripresero l’iniziativa ingaggiando diverse battaglie; i francesi evitarono di essere distrutti in più occasioni, ma subirono perdite sempre più ingenti e dovettero via via abbandonare i carri e anche i feriti. Decimati dai continui combattimenti e fiaccati dalle tormente, alla fine solo 100 mila soldati napoleonici riuscirono a rientrare indenni in Europa.

Anche Hitler provò ad attaccare la Russia nella Seconda guerra mondiale agendo in modo simile, ma su scala molto maggiore: il 22 giugno 1941 (dopo 129 anni esatti) iniziò l’Operazione Barbarossa: le armate tedesche erano composte da tre milioni di uomini, accompagnati da migliaia di carri armati, aeroplani, camion. Le linee sovietiche furono colte di sorpresa e letteralmente travolte. Dopo un iniziale successo che le portò ad avanzare fino alle porte di Mosca, le forze dell’Asse si bloccarono a Stalingrado. L’ostinazione di Hitler nel voler tenere le posizioni a ogni costo, l’eccessivo allungamento delle linee di rifornimento, il fango, le temperature a -50 °C che congelavano persino l’olio dei motori, fecero sì che le sorti della guerra girassero dalla parte dei sovietici. A ciò si aggiungeva che i tedeschi erano riusciti a inimicarsi i contadini russi, anche quelli non favorevoli al regime sovietico, trattandoli da “sotto-uomini” senza valore. In più, la propaganda sovietica riuscì a coalizzare un intero popolo incitandolo alla “guerra patriottica” proprio come aveva saputo fare l’Impero Russo nel 1812. Di conseguenza, molti civili si unirono ai partigiani, portando la battaglia anche nelle retrovie.

La guerra diventò una “parabola discendente” per la Germania: i sovietici, forti di un colossale esercito che contava decine di migliaia di carri (con consistenti aiuti dagli Stati Uniti), arrivarono fino a prendere Berlino. Dei 330mila tedeschi catturati a Stalingrado ne tornarono a casa forse 10 mila. Le perdite sovietiche furono assai più ingenti, dell’ordine di decine di milioni di persone. Ne uscì un mondo diviso in due dalla Guerra Fredda: con l’Europa politicamente ridimensionata, a contare erano URSS e Stati Uniti, in un precario equilibrio sancito dalle armi nucleari. Nel 2018, tutto quel che credevamo appartenere al passato si ripresenta come se non ci fosse mai stato un 1991, l’anno del crollo dell’Unione Sovietica. In conclusione, ignorato la lezione di “Guerra e Pace” ha sempre perso. Farlo anche oggi, o da protagonisti o da comparse, è un gioco pericoloso che non possiamo permetterci di iniziare.

GIANMARIA SPAGNOLETTI 16 apr 2018 10:50