L'Immacolata riscatta la storia del femminile
Maria diventa il riscatto dell’umanità ferita. In lei l’amore divino si fa spazio intatto, chiamando ogni creatura a rinascere nell’innocenza e nella fiducia che aprono all’incontro con Dio
“Germogliava in lei luce
come se in lei in piena notte
venisse improvvisamente il giorno”.
(Alda Merini, Magnificat)
Tra le feste che la Chiesa dedica a Maria di Nazareth, quella dell’Immacolata Concezione è tra le poche che ce la pongono dinanzi, per così dire, sola, a tutto campo, nel grembo e neonata, bambina, ancora ignara e lontana dal suo futuro di madre col bambino in braccio, al seno o sulle ginocchia, icona che la riprodurrà instancabilmente nell’arte cristiana di ogni tempo. L’Immacolata titilla l’immaginazione e quello che è nato come un dogma, alla gente, al popolo di Dio, giunge anzitutto con la suggestione della purezza che traspare – ripulite dal sangue materno – nelle membra intatte, morbide, sacre, della creatura appena nata alla luce del mondo. E che il mondo non riuscirà a oscurare con la corruzione, con la notte della morte, della sua malvagità.
In lei, nella neonata Maria, la luce del miracolo della gestazione giammai si spegnerà, indelebile sulla sua fronte, su quel profumo che segnala, nell’umano, l’odore di Dio. Mai nulla potrà far decadere quella sua Bellezza antelucana. Non c’è in lei alcuna “macchia”, alcuna propensione ad ascoltare il sibilo dei tanti “serpenti” di un mondo schiavo di spinte centrifughe, di urla di “legioni” che lo portano ad autodistruggersi, dividendosi in sé stesso. E ancorché fosse stato preparato per essere un kòsmos, un’armonia di colori, di volti differenti e complementari tra loro, un concerto perfettamente tessuto in ogni filo di musica.
Al contrario della donna dell’Eden, quella del principio, che fu subito moglie e madre (Eva: “la madre di tutti i viventi”) e non ebbe il tempo di essere bambina, l’Immacolata è il riscatto dell’infanzia del femminile e con esso di quella di tutto l’umano; è un “ritorno” alla pelle che sa di sorriso, che profuma di latte e splende di innocenza. “Se non diventerete come i bambini” dirà Gesù (Mt 18,3). E quella che per prima vi ritorna è proprio lei, sua madre. Non per nulla, dall’alto del travaglio del parto di un Dio crocifisso, il Figlio renderà figlia e madre quella “donna” che “grida a lui dalla terra”, in perfetto silenzio nell’attesa del respiro di Dio. “Vergine madre, figlia del tuo figlio”: stupendo, immacolato, sommo verso a descriverla (Par XXXIII, 1). Nata immacolata dal Figlio, “nato da Donna”, incarnatosi in lei (cf. Gal 4,4). Mistero stupendo, identità di intrecci, di relazioni, di reciproche, benedette trasformazioni, in cui consiste la Vita nel tempo redento dell’Eterno. Quando la morte trascolora in puerizia e la vecchiezza in adolescenza e la madre, ormai anziana, che mentre guarda suo figlio morire, ella stessa, risorge, viene concepita in una carne “immacolata”, che – come potrà fare Nicodemo – “rinasce dall’alto”.
Ed eccoci a curiosare, allora, su questa Donna nel suo stato di “figlia”. Nei cori della corsa della sua giovinezza che riecheggiano il battito del suo primo, frenetico sviluppo, nella matrice materna. Nella sua verginità in cui tutte le membra pulsano di desiderio, di sogno, di speranza. Di “Te”, dell’altro, dell’“Eccomi”! Età e pura nudità dell’amata e amante del Cantico dei Cantici che dice: “Trascinami con te, corriamo” (1,4), che s’apre all’ignoto dell’Incontro, che trema immaginando la Sua voce, che terge i piedi, che si toglie la veste liberandosi così da tutti gli ostacoli, gli inciampi (= il peccato, lo scandalo) all’Abbraccio. Concepita senza peccato originale, vale a dire totalmente libera nel viaggio dell’Amore, nel protendersi all’Altro. “Immacolata”: che non conosce il sospetto, la paura, il possesso, la tentazione di fare da sé, né il dolore della separazione né la vergogna della violenza, del dominio o della sottomissione. Pura conchiglia dove attecchisce, libera, la perla della Vita.
Una “figlia”, Maria, che solleva la madre – Eva – dalle tante umiliazioni, vessazioni, che per secoli e secoli, in forme sempre più sofisticate, mostruose ed ipocrite, ha continuato a subire. Una figlia, Maria, che incorona la volontà e il coraggio di tante figlie di ebrei e filistei, di giudei e di gentili, di schiavi e di liberi, in cui Dio confida – secondo le stupende storie che la Bibbia racconta – per liberare da un destino di morte tutta l’umanità. Il coro del riscatto dell’infanzia “immacolata” comincia dalla giovane Agar, la schiava egiziana, il cui grido al Cielo salverà suo figlio Ismaele dalla sete cui l’aveva condannato un patriarcato selettivo e nemico; si leva forte nelle levatrici dell’Egitto che con la loro obiezione di coscienza a un decreto di genocidio, fanno sì che “venga alla luce” l’intero Israele. E se la povera figlia di Iefte, per un voto sciagurato che il padre aveva fatto, fu uccisa in sacrificio a Dio, alla soglia della sua giovinezza, il vuoto della verginità di Maria fu colmato, al contrario, da una Divina, sconfinata pienezza, per il sacrificio d’Amore di un Dio fattosi Figlio per lei.