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Stati Uniti
di MARIO MENIN 14 gen 2016 00:00

Obama, la lobby delle armi e noi

“Se un bambino non può aprire un tubetto di aspirina, dobbiamo fare in modo che non possa nemmeno premere il grilletto di una pistola” ha scritto Obama in un editoriale pubblicato sul New York Times. Leggi la riflessione di padre Mario Menin che chiama in causa anche la nostra realtà

Hanno fatto il giro del mondo in pochi minuti. Sul volto del presidente della nazione più potente del mondo sono comparse le lacrime mentre ricordava le vittime delle sparatorie di questi ultimi anni. “Ogni volta che penso a quei bambini mi arrabbio” ha detto Barack Obama con voce roca, lasciando scorrere le lacrime.

“Mass shooting” (uccisioni di massa) le hanno definite i media americani. Solo nel 2015 ce ne sono state 354, quasi una al giorno, ed hanno causato 462 morti e 1.314 feriti. Puntualmente, dopo ogni strage, il presidente ha annunciato misure restrittive; e altrettanto puntualmente il Congresso ha fatto capire che non avrebbe accettato limitazioni al “diritto dei cittadini di detenere e portare armi” riconosciuto dal secondo emendamento della Costituzione. Così sono continuate le stragi, gli omicidi e i suicidi per armi da fuoco: i morti sono più di 30mila all’anno.

“Se mi chiede qual è il settore in cui sento di essere stato più frustrato e più ostacolato è il fatto che gli Stati Uniti sono la sola nazione avanzata sulla terra in cui non abbiamo leggi di buon senso per il controllo delle armi, nonostante le ripetute uccisioni di massa” ha confessato Obama ai microfoni della Bbc lo scorso luglio all’indomani della strage avvenuta per opera di un giovane bianco di 21 anni nella chiesa metodista di Charleston durante la lettura della Bibbia. E aveva aggiunto: “Se consideriamo il numero di americani uccisi per terrorismo dall’11 settembre sono meno di cento, mentre le vittime della violenza delle armi sono nell’ordine delle decine di migliaia. Non essere in grado di risolvere questo problema è stato angosciante: ma non è una materia sulla quale ho intenzione di smettere di lavorare nei restanti 18 mesi”.

Per questo lo scorso 5 gennaio Barack Obama, circondato dai parenti delle vittime di queste sparatorie, ha annunciato una serie di misure “per proteggere il popolo americano e impedire che criminali e individui pericolosi possano dotarsi di armi da fuoco”. Ha presentato un “ordine esecutivo” nei limiti dell’autorità legale del presidente. Il decreto in dieci punti prevede, tra l’altro, maggiori controlli sulle fedine penali degli acquirenti; l’obbligo della licenza per i rivenditori di armi anche per quelli – sempre più numerosi – che operano online e nelle fiere; controlli più severi sugli acquisti di armi particolarmente pericolose come i fucili a canne mozze e i mitra d’assalto. Ma anche specifiche misure per migliorare la sicurezza delle armi. “Se un bambino non può aprire un tubetto di aspirina, dobbiamo fare in modo che non possa nemmeno premere il grilletto di una pistola” ha scritto Obama in un editoriale pubblicato sul New York Times.

La National rifle association (Nra), la potente lobby delle armi, non ha perso tempo per esternare la sua opposizione al progetto del presidente definendolo “un tentativo per distogliere l’attenzione dalla mancanza di una strategia contro il terrorismo”. Evidente il fastidio per le parole di Obama: “La lobby delle armi può tenere in ostaggio il Congresso, ma non può tenere in ostaggio l’America”. “Anche l’industria delle armi deve fare la sua parte, a cominciare dai produttori” – ha aggiunto Obama.

Due anni fa, l’Osservatorio permanente sulle armi leggere (Opal) ha accolto una delegazione interconfessionale della Industrial areas foundation (Iaf) che venne a Brescia per presentare le sue proposte tra cui figuravano proprio quelle per migliorare la sicurezza delle armi che Obama intende introdurre. La delegazione tenne una conferenza stampa in città – nella quale spiccò l’assenza di alcuni dei principiali organi di informazione cittadini – e fu accompagnata a Gardone Val Trompia per presentare ad una nota azienda produttrice di armi le proposte. Non fu possibile incontrare i dirigenti dell’azienda e la delegazione poté solo consegnare una lettera. Che ad oggi è rimasta senza risposta.
MARIO MENIN 14 gen 2016 00:00