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Brescia
di M. VENTURELLI 11 giu 2015 00:00

Sono attori di sviluppo

Gli stranieri che lavorano in Italia producono l’8,8 del pil nazionale, ma la loro presenza è ancora problematica

Aveva visto giusto mons. Monari qualche anno fa quando aveva indirizzato alla città (che allora si stava spaccando sul donum bebè) e più in generale alla diocesi la lettera “Stranieri, ospiti, concittadini”. In quelle pagine il Vescovo delineava un percorso possibile, non solo pastorale, per affontare con gradualità il tema della presenza straniera nel Bresciano. Nella lettera mons. Monari ricordava il ruolo sociale ed economico svolto da tanti immigrati arrivati a Brescia e il contributo da loro fornito al benessere degli bresciani. Mons. Monari ha di fatto anticipato di alcuni anni le conclusioni a cui sono giunte Caritas Iitaliana e Fondazione Migrantes con la pubblicazione del 24° Rapporto sull’immigrazione 2014 a cui è stato dato il titolo “Migranti, attori di sviluppo”. Lo studio è stato presentato nei giorni scorsi all’Expo di Milano e, come ha ricordato il direttore di Caritas Italiana mons. Frncesco Soddu, ha preso in esame la figura del migrante come attore di sviluppo tanto del Paese di origine quanto di quello di arrivo, vedendolo protagonista di settori economici che sarebbero in crisi senza l’apporto di manodopera straniera. E così dal rapporto emerge che lo scorso anno i lavoratori stranieri presenti in Italia (2 milioni 441mila 252) hanno prodotto l’8,8% della ricchezza nazionale (pil), per una cifra complessiva di oltre 123 miliardi di euro, pur con una retribuzione media mensile di gran lunga inferiore a quella degli italiani (993 euro contro 1326). Una presenza generatrice di ricchezza di grande importanza, una forma nuova di protagonismo legata allo sviluppo, certificata anche dal numero delle imprese di cittadini non comunitari che nell’anno preso in esame dal Rapporto era di quasi 316mila, in crescita rispetto all’anno precedente. A fare da capofila la Lombardia, dove secondo lo studio Caritas-Migrantes si concentrano il 22,8% degli occupati stranieri e il,18,6% delle imprese. Il campo dei servizi collettivi e personali è quello in cui si concentra la percentuale maggiore dei lavoratori stranieri (39,3%), seguito da quello degli alberghi e ristoranti (19,2%), delle costruzioni (18%), dell’agricoltura (17,1%), dell’industria (10,5%) e del trasporto (10,3%). Numeri e percentuali, quelli elencati nel Rapporto, che confermano la sostanziale forza lavoro straniera impiegata per mansioni a bassa qualificazione.

Una presenza importante, determinante, forse, per l’economia del Paese, ma che, come ha ricordato il card. Francesco Montenegro, presidente di Caritas italiana, durante la presentazione del Rapporto, trova un Paese ancora restio a considerarli parte di se e delle sue famiglie. Eppure questi immigrati, al di là dei punti di pil che sono in grado di produrre, sono, come ha ricordato ancora l’arcivescovo di Agrigento “cittadini che risiedono nel nostro Paese da 30 anni, che attendono la cittadinanza italiana o che hanno la cittadinanza italiana ma hanno i lineamenti di un Paese diverso. Sono i minori che non hanno esperienza migratoria ma che sono nati da cittadini immigrati e che vengono chiamati stranieri; sono gli alunni di cittadinanza non italiana. Sono le coppie miste. Sono i migranti ricongiunti, i lavoratori sfruttati nei campi agricoli; le donne sottopagate che cercano di dividersi tra la propria famiglia e l’assistenza ai nostri anziani e ai nostri bambini. Sono le donne che curano le nostre case. Sono le persone a cui affidiamo ciò che abbiamo di più caro: i nostri affetti, la casa costruita con tanti sacrifici, i nostri figli, i nostri genitori”.

“I numeri, confermati dalle cronache quotidiane, parlano chiaro – ha affermato invece mons. Nunzio Galantino, segretario della Cei –. Stiamo vivendo un’epoca caratterizzata da massicci movimenti migratori. Un gran numero di persone, che aumenta di giorno in giorno, lascia i luoghi d’origine e intraprende il rischioso “viaggio della speranza” alla ricerca di condizioni di vita più umane (4.922.085 gli stranieri regolarmente presenti in Italia al 31 dicembre scorso. ndr). Si tratta dunque di un fenomeno globale, come ha sottolineato mons. Galantino, causato da molteplici fattori; un fenomeno che comporta diverse problematiche (anche molto complesse), ma che, con altrettanta certezza, può rappresentare un’importante risorsa per la crescita umana, sociale, economica e culturale dei popoli. Occorre però, come affermato da mons. Galantino, una capacità di risposte credibili, sino a oggi mancate nel Paese. Sul piano culturale, secondo il Segretario della Cei, l’Italia non è stata capace di andare oltre una lettura per compartimenti stagni del fenomeno migratorio (considerandolo di volta in volta problema di sicurezza, economico o di integrazione).

Sul piano religioso – ha ricordato – la separazione tra fede e vita ha portato alla sottile dissociazione tra credere personale e apertura ai problemi del mondo, non può essere accettabile per chi appartiene alla Chiesa che vuol essere “senza frontiere” e “madre di tutti”.
M. VENTURELLI 11 giu 2015 00:00