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18 feb 2016 00:00

Cambiare passo o rassegnarci all’oblio

Torniamo sugli adolescenti. Materia difficile, sempre più vaga, sfuggente anche per gli oratori. I giorni scorsi a più riprese ci hanno consegnato altre vicende di cronaca nera... L'editoriale del n° 7 di Voce è di don Adriano Bianchi

Torniamo sugli adolescenti. Materia difficile, sempre più vaga, sfuggente anche per gli oratori. I giorni scorsi a più riprese ci hanno consegnato altre vicende di cronaca nera e l’impressione è che facciamo sempre più fatica a intercettarli. Anche la comunità cristiana boccheggia nel trovare la quadra di un impegno educativo nei loro confronti, anche perché, è un dato di fatto, soprattutto gli adolescenti abitano spazi che non sono più i nostri. Il primo dato è sociologico. C’è chi si isola e si chiude in casa ormai intrappolato tra social e videogiochi e chi, se va bene, coltiva una o due amicizie vere. Il gruppo su cui abbiamo investito è morto da tempo. C’è chi ama incontrarsi nel tempo libero e va nei centri commerciali. Spazi incontrollati, senza figure educative se va bene con qualche regola dettata da controlli stile “ordine pubblico”. Nessun iniziativa, nessun coinvolgimento, nessuna proposta. Bighellonare è lo stile. Poi ogni tanto arriva la retata e si scoprono spaccio, bullismo e mercificazione del corpo.

Nessuno investe. La parrocchia ha già il suo da fare a tener in piedi gli oratori. Le amministrazioni hanno chiuso tutti i rubinetti delle politiche giovanili. Forse aumenteremo le telecamere e così faremo sonni tranquilli! Il secondo dato è d’impostazione pastorale. Un tempo si parlava di pastorale giovanile. Ci furono anche dei corsi diocesani durati almeno un decennio: “Fare pastorale giovanile”. Oggi? Non abbiamo più tempo per farla. È evidente che l’Icfr ha spostato l’asse della pastorale degli oratori su bambini e famiglie e, nonostante le buone intenzioni e ammessa (ma non concessa) la voglia della “cosiddetta” comunità educativa di stare con preadolescenti e adolescenti rompiscatole, il tempo necessario per costruire iniziative, andare dove sono, renderli protagonisti di un luogo come l’oratorio o lasciar intravedere che Gesù resta anche un loro amico è ridotto alle briciole. Pochi superstiti resistono negli anni delle medie, ma quando diventano adolescenti l’oratorio, per la maggioranza di loro, è ormai un ricordo lontano. E poi ci chiediamo come arrivare a coinvolgerli in età giovanile. Quando i buoi sono scappati dalla stalla è dura. Sarà che siamo ancora a febbraio, ma anche il sentore rispetto alla partecipazione ad alcuni momenti diocesani come Roma Express/Giubileo dei ragazzi e Gmg in Polonia è piuttosto scarso.

Ci sarà uno scatto finale? Speriamo! Infine il dato educativo/ecclesiale. La domanda è se nelle nostre comunità esistono ancora adulti cristiani che intendono spendere tempo per i ragazzi perché siano gli adulti cristiani di domani. La ricerca sulla fede dei giovani dai 19 ai 29 anni (i millenials) dell’Università Cattolica pubblicata nei giorni scorsi restituisce l’immagine di ragazzi che amano papa Francesco, ma fanno fatica a capire il linguaggio della Chiesa, conoscono poco Gesù, ma credono in Dio. Gente, questa, che sicuramente è andata a catechismo e ha ricevuto i sacramenti, ma il sentirsi Chiesa è un’altra cosa e s’impara da un’altra parte. Amare il Papa perché ne parlano bene i giornali non basta. E se il prossimo Papa sarà meno simpatico di questo? Si faranno buddisti? Insomma nella nostra Chiesa, volenti o nolenti, l’oratorio è il luogo dove i ragazzi hanno imparato ad essere Chiesa e a conoscere Gesù. Era a loro misura e forse oggi non lo è più. E se i risultati non sono più quelli di una volta qualcosa da cambiare ci sarà o lasceremo che avanzi l’oblio?
18 feb 2016 00:00