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Brescia
di LUCIANO BARONIO 05 mar 2020 12:46

L'emergenza e la comunità cristiana

Un contributo di don Luciano Baronio, che ha svolto il compito di Responsabile del Centro Studi Della Caritas Italiana, organismo pastorale per l’educazione alla carità della chiesa italiana, e che ha curato la pubblicazione del volume: “Catastrofi naturali ed emergenze”

La stagione che stiamo vivendo a motivo dell’emergenza coronavirus che preoccupa non solo noi italiani, per i danni gravissimi finora procurati e che si prevede, a quanto sappiamo dal parere degli esperti, di non breve durata, rende utile e forse necessaria una riflessione, anzi una grande riflessione, che ci aiuti a viverla con senso di responsabilità e a coglierne gli insegnamenti, - che vanno al di là delle precauzioni raccomandate e delle doverose e opportune indicazioni riguardanti le celebrazioni liturgiche - che toccano il nostro modo abituale di pensare e di vivere, chiamato ora a reagire, superando la passività con una risposta, quella invocata da tutti, cioè quella della solidarietà che riguarda tutti: singoli, famiglie, istituzioni e comunità. La coronavirus giunge come ultima, in ordine di tempo, tra le molte che si sono susseguite in modo impressionante, soprattutto in questi ultimi anni, anche a livello internazionale, che di volta in volta ci hanno rattristato e colpito profondamente. Il pianeta è irrequieto, la natura soffre, manomessa in molti modi . Manifesta il suo malessere e, in certo modo, restituisce i danni subiti, con gli interessi! Siamo dunque in stato di piena emergenza che va affrontato insieme, unendo tutte le forze, e con il coraggio e l’intelligenza necessari. La riflessione che segue vuole aiutare, per quanto possibile, la comprensione dello stato di emergenza che si è venuto creando, in modo improvviso e quale debba essere la risposta più adeguata da parte dello Stato, della società nel suo insieme e con particolare attenzione a ciò che è richiesto alle comunità cristiane, chiamate per vocazione a precedere.

Il fattore "emergenza" fa parte della vita umana sia individuale che sociale. Pur costituendo una eccezione nei confronti della vita ordinaria, è una costante della storia dell'umanità, con la quale ogni generazione ha dovuto e deve fare i conti. Molto si può imparare dal confronto con altre emergenze o epidemie del passato, anche recente. Dal punto di vista sanitario, ma soprattutto sociale, per le conseguenze subite – per il tempo impiegato a capire – e soprattutto per la risposta coraggiosa messa in atto con il coinvolgimento popolare, suscitato e guidato da personaggi autorevoli e, a volte, carismatici, alcuni dei quali, spinti dall’emergenza, hanno dato vita a istituzioni giunte fino a noi.    

L’emergenza purtroppo è da mettere in preventivo, soprattutto in una società come la nostra, per la quale alle calamità naturali, sempre possibili, va aggiunto il rischio di disastri provocati dall’uomo, assai accresciuto - anche a motivo delle tecnologie "avanzate", come hanno ampiamente dimostrato “ fatti recenti”.

L’emergenza è un fatto sociale che si presenta con alcune caratteristiche che la definiscono in un modo inequivocabile, anche se diverse sono le "tipologie" con le quali può manifestarsi.

È anzitutto un fatto eccezionale, anche se negli ultimi anni - a causa di molteplici fattori e di una informazione più tempestiva e più completa - ne sembra aumentata la frequenza.

Si pensi, ad esempio, alle guerre cosiddette "locali o regionali" o al fenomeno della siccità, delle frequenti alluvioni, dovute al cambiamento climatico, dei terremoti, della fame causata dalla penuria di cibo e di acqua… o al lungo elenco di avvenimenti calamitosi sul piano interno ed internazionale sui quali è attirata quotidianamente l’attenzione dell'opinione pubblica.

Come "fatto eccezionale" richiede una risposta altrettanto eccezionale, sia per la rapidità dell’intervento, sia per il coinvolgimento di tutte le forze sociali.

È un fatto complesso. Non solo perché è difficilmente governabile, ma perché tende a sconvolgere la vita, sia individuale che sociale, che, di fatto, riesce a mettere in crisi nelle sue dimensioni vitali.

Ha infatti conseguenze sulla vita delle persone o togliendola o menomandola in vari modi; sulla salute fisica, psichica e spirituale; sul tessuto familiare e sociale, spezzando o interrompendo rapporti affettivi, di lavoro, e di convivenza; sui beni e sul loro uso; sui servizi sociali; sull'autosufficienza delle persone e delle comunità rendendole dipendenti in tutto o quasi dagli altri: questa, forse, è il condizionamento più pesante; l'emergenza inoltre rende poveri quelli che non Io erano e ancora di più coloro che già lo erano.

È un fatto improvviso. Anche quando è prevedibile o addirittura preannunciato, chi ne è colpito lo è sempre di sorpresa, anche per il motivo che istintivamente ognuno allontana da se l'ipotesi di esserne colpito.

Essa, per richiamarci ad un’immagine evangelica, piomba addosso proprio "come un ladro" (Luca 12, 39). Il fatto che l’emergenza sia improvvisa la rende ancora più traumatica perché si passa, talora in pochi secondi, dalla vita tranquilla alla tragedia.

È un fatto doloroso. Produce sofferenze di vario genere, speso indicibili, aumentando inoltre le "disuguaglianze" all’interno della stessa società e tra comunità e popoli diversi.

È un evento che chiama in causa la responsabilità dell’uomo. Sono "emergenza" infatti sia le calamità naturali,  ma anche i disastri di varia natura provocati direttamente o indirettamente dall’uomo

La responsabilità dell’uomo è chiamata in causa anzitutto per gli eventi calamitosi chiaramente riconducibili alle sue scelte morali. Si pensi, ad esempio, alle guerre, alle persecuzioni politiche, alla violazione sistematica dei diritti umani, ma anche alle carestie, alla siccità, alla fame, come pure agli accadimenti alla cui origine ci stanno l'imprevidenza umana, l'omissione colpevole di atti doverosi, il cattivo rapporto con la natura o la logica del profitto ad ogni costo, che non guarda ai danni procurati alle persone, alla collettività  o all'ambiente naturale. Di fronte all’emergenza non basta perciò una risposta puramente tecnica; pur necessaria, essa è un fatto che implica una risposta etica, cioè umana.

L’emergenza va affrontata con coraggio. Per poter affrontare adeguatamente l'emergenza bisogna guardarla in faccia con coraggio, studiandola o almeno conoscendola nelle sue componenti, nelle sue dinamiche e nelle sue conseguenze onde, all’occorrenza, poterla affrontare. Imparando da chi ha fatto analoghe esperienze prima di noi, in Italia o altrove.

Più la si conosce infatti è meglio la si può controllare sia prevenendola, per quanto possibile, sia evitando sbagli, sia difendendosi dallo scatenarsi delle forze cieche della natura, sia soprattutto educando singoli e comunità all’auto-protezione.

 La solidarietà è una parola ed una realtà che tutti capiscono: essa è un valore unificante perché "ecumenico", come ci ha ricordato anche in questi giorni Papa Francesco.. Se essa è apprezzabile e doverosa nella vita ordinaria, tanto più Io è nei momenti di emergenza. In questa seconda ipotesi essa deve saper trovare, ogni volta, strade e metodi per esprimersi in modo proporzionato ai problemi.. Nessuna persona o realtà sociale può affrontare da sola un’emergenza, soprattutto grave come quella in atto.. L'unica solidarietà adeguata è quella a più voci, costituita dall’apporto di tutte le componenti il corpo sociale, coordinate da chi ne ha il compito e la responsabilità, cioè dallo Stato. Infatti essa è il  principio di fondo della nostra Costituzione..

- La solidarietà "da emergenza" non è di natura diversa da quella che dovrebbe ispirare i rapporti quotidiani della gente. Se non vi è questa, anche la prima avrà meno valore e soprattutto non riuscirà a sopravvivere all’emergenza stessa. Di qui l'importanza fondamentale della educazione permanente alla solidarietà da svolgere in ogni ambiente di vita, quali, ad esempio: gli ambienti del lavoro, della vita economica sindacale e politica ecc., ma soprattutto in quelli che hanno una funzione educativa specifica come la famiglia, la scuola, ai vari livelli, il volontariato – che il Presidente Mattarella, a Padova, la scorsa settimana, ha definito come “ corpo intermedio” della Repubblica -  e la comunità cristiana. La scuola, in aggiunta, offre condizioni oggettivamente favorevoli, dal punto di vista pedagogico, per la libertà didattica che la caratterizza, che oggi può avvantaggiarsi di sussidi audiovisivi particolarmente efficaci, e per la ricerca e la sperimentazione che può avviare con serietà e impegno. Allo scopo di preparare soprattutto i giovani a sentirsi chiamati e a vivere una “cittadinanza attiva”.

Se non si crea un costume di solidarietà con il prossimo nella vita quotidiana, specialmente quando è bisognoso, anche una risposta generosa nell’emergenza, difficilmente sarà una risposta di amore autentico, nel senso vero della parola. Chi non è abituato a condividere nella normalità della vita le sofferenze dei vicini, è quasi impossibile che riesca a farlo, con verità, nei riguardi dei lontani che non conosce e che, tutto sommato, gli sono estranei, anche quando ne sentisse compassione. L’educazione alla solidarietà è importante anche perché punta a creare una capacità di rapporto stabile, anche nella preghiera – “ pregate gli uni per gli altri per essere guariti” ( Giac.5,16) -  con le persone, cosa che si verifica solo quando si ama veramente.

Una solidarietà per l’"emergenza", così concepita, ha alcune caratteristiche. Tende al coinvolgimento di tutto il corpo sociale, aprendosi a tutte le collaborazioni e a tutti gli apporti. Anzi ne va in cerca e li suscita con una vasta azione di sensibilizzazione fatta attraverso un’informazione precisa e continuata e mediante la proposta di forme concrete di atteggiamento e di impegno.

Si esprime in modo diversificato, distinguendo tempi e modi. All'inizio interviene con un’azione immediata che ha il carattere dell’urgenza, talvolta estrema; in seguito con prestazioni continuate di servizio che tendono a riportare la vita alla normalità.

È una solidarietà che accetta di imparare. L’emergenza può costituire per tutti una lezione di vita. Infatti; ridimensiona i problemi, a volte fittizi, della vita quotidiana; obbliga a confrontarsi con coloro che sono  colpiti dalle calamità, suscitando, a volte, un autentico sentimento di vergogna di fronte a sé stessi per le proprie lamentele e insoddisfazioni, quando in realtà non c’è motivo; rimette a posto la scala dei valori secondo un criterio di essenzialità che spesso è dimenticato; porta in casa delle domande importanti sul valore della vita, sulla sua precarietà‘, sulla relatività di tante cose  considerate "indispensabili"; sulla grandezza e sulla fragilità delle nostre società, progredite, avanzate, ricche, superbe, ma fragili, più di quanto si  potesse pensare difronte ad un “virus” che le ha messe in crisi, sotto vari aspetti. Bloccandole. Il pensiero corre alla visione della statua del profeta Daniele (Daniele 2,31 - 36), imponente, da impressionare, ma che aveva i piedi di argilla. Che si frantumò, rovinando, a causa di un piccolo sasso che si staccò dal monte e che la colpì nei piedi.  Aiuta ad immedesimarci nella situazione altrui: dal "poteva toccare anche a me" è facile il passaggio al "fa agli altri ciò che vorresti che gli altri facciano a te".

In definitiva, chiede non solo opere di soccorso, ma un modo diverso di pensare e di vivere.

La Comunità cristiana di fronte all’emergenza. In questo comune cammino di solidarietà assume un peso specifico particolare l’esempio dei cristiani, singoli, gruppi e comunità, quando riescono a dimostrare con i fatti - soprattutto se costano - la coerenza con i principi proclamati e la concreta possibilità di spezzare, nella vita sociale, il cerchio dell’egoismo.

Se l’emergenza riesce a suscitare un movimento generale di solidarietà, questo deve avvenire, a maggior ragione, nella comunità cristiana che ha nel comandamento dell’amore: "Ama il prossimo tuo come te stesso" (Matteo, 22, 39) la sua legge fondamentale.

Anzi non basta che adempia ad un dovere, è domandato che la sua testimonianza di amore sia un "segno" anche per coloro che non credono. Per poterlo essere deve presentarsi con uno stile inconfondibile che anche i non credenti "riconoscono" quando traduce nelle azioni lo spirito del Vangelo, nel quale si crede..

La chiesa che da Cristo è stata inviata a rivelare e a comunicare l’amore di Dio a tutti gli uomini e a tutti i popoli (Decreto ad gentes, 10) lo può fare, in modo intelligibile a tutti, solo ponendo dei gesti concreti, dal di dentro della vita degli uomini, condividendone la stessa sorte. In questo modo essa si fa davvero "fermento" e "anima" della società umana (Gaudium et spes, 40)

L’appello alla Parola di Dio non è, come potrebbe sembrare a prima vista, - dato il tema che stiamo trattando - una forzatura o una pretesa.

La Bibbia, libro di Dio, è anche libro dell’uomo e come tale presenta la vicenda umana in tutti i suoi aspetti, comprese le calamità naturali e quelle provocate dall’uomo. Ciascun cristiano, per quanto poco conosca la "storia sacra", facilmente ne ricorda più di una dell’uno e dell’altro tipo. È il caso, per esempio, della tremenda siccità, che ci fu al tempo del profeta Elia, narrata nel 1° libro dei Re (18, 41-46), delle numerose guerre o deportazioni delle quali parla soprattutto l’Antico Testamento. Anche Cristo ha fatto riferimento ad avvenimenti analoghi dell’Antico Testamento o a fatti di cronaca a lui contemporanei, come quando ha commentato la notizia - riferitagli da alcuni - della caduta della Torre di Siloe che causò diciotto morti (cfr. Luca, 13, 4-5). Egli inoltre ha invitato a leggere anche le calamità, piccole e grandi, come un richiamo a cambiar vita e alla vigilanza. Lo ha fatto anche quando ha parlato della fine del mondo i cui segni premonitori sono costituiti appunto da terremoti, carestie, pestilenze, guerre e rivoluzioni. Il Signore però non si è limitato a trarre per i suoi ascoltatori quegli insegnamenti morali utili alla vita spirituale personale che gli avvenimenti tragici (calamità) della storia umana suggeriscono - se Ietti alla luce di Dio e del destino eterno dell’uomo (teologia della storia) - ma ha invitato a farsi solidali, mediante gesti concreti di amore, con chi è stato colpito dalla sventura.

Lo ha fatto, per esempio con la parabola del buon samaritano: "Va' e fa anche tu lo stesso";- di fronte alla folla affamata, quando ha detto agli apostoli: "non è necessario che se ne vadano, date voi a loro da mangiare"; lo ha fatto parlando del giudizio finale quando; dopo aver elencato una serie di povertà quali la fame, la sete, la malattia, la persecuzione, ecc., che possono colpire singoli e collettività, ha concluso assegnando la vita eterna a coloro che hanno compiuto "le opere di misericordia", a vantaggio dei bisognosi, condannando invece chi non si è curato di essi. Questi non sono che accenni all’ampio tema della solidarietà che la Parola di Dio offre.

Seguendo questo spirito evangelico la comunità cristiana vive come sue non solo le gioie e le speranze, ma anche "le tristezze e le angosce degli uomini di oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono» (Gaudium et spes, 1).

Anche se la parola di Dio presenta mete di solidarietà, non suggerisce i  singoli modi concreti con i quali incarnare il suo messaggio, pensarli e attuarli spetta a noi chiamati a compiere una sapiente mediazione tra la Parola e la vita. Questo comporta, per la comunità cristiana, di essere aderente ai bisogni veri e di operare con attenta creatività che l'intuizione e l’amore verso l’uomo rendono possibile.

In questo modo non si compiono solo delle opere, ma si tende a promuovere un altro tipo di rapporto sociale ed un diverso modello di società provocando, attraverso la pedagogia dei fatti, un vero cambiamento culturale.

La risposta alle emergenze non solo non si sottrae a questa logica, ma ne accentua l’esigenza. Essa perciò va vissuta  come una occasione di educazione ad un nuovo costume sociale, ispirato alla solidarietà. In questa ottica acquistano il loro vero significato e manifestano tutto il loro valore le diverse forme di disponibilità e di servizio che si esprimono: nei gruppi di volontariato; nella presenza significativa di comunità religiose che si fanno "comunità in servizio ai poveri"; nel ruolo dei presbiteri, disponibili soprattutto a quell’aiuto spirituale proprio della loro missione e anche  a quello psicosociale al quale gli altri  impegnati nell’operatività - difficilmente possono dedicarsi. Rientra qui anche il sostegno umano e la collaborazione pastorale ai confratelli, ovunque sparsi sul pianeta, colpiti da calamità, e l’aiuto morale ai gruppi di volontariato, ovunque, impegnati nell’opera di soccorso; Inoltre devono sentire  come rivolte a sé le domande ( teologiche) che nascono nella coscienza dei fedeli e degli uomini, in generale, che cercano risposte sul senso della vita, sulla sua precarietà, resa drammatica da questi eventi che colpiscono indiscriminatamente gli esseri umani, facendo vittime anche tra i poveri, già provati e tra i bambini. E, infine, sulla morte che non riusciamo ad accettare.  E, al vertice, su Dio. Nella presenza di "famiglie aperte all’accoglienza" disposte a sostenere soprattutto le famiglie più colpite e ad accogliere i casi più pietosi, costituiti dagli anziani o dai minori rimasti privi di famiglia.Una risposta così articolata assume anche il significato di un aiuto reciproco tra chiese. In questo comune cammino di fraternità.

In un simile clima di comunione è abbastanza facile che nascano, come già avvenuto, forme stabili di cooperazione, quali sono, per esempio, i gemellaggi, la cui portata e il cui significato vanno ben oltre la materialità dell’aiuto e il periodo dell’emergenza

Dopo l’esplosione dell’emergenza è richiesto anzitutto un intervento immediato subito dopo l'esplosione della calamità. Esso deve avere alcuni requisiti: la tempestività che consente di intervenire nel più breve tempo possibile onde "abbreviare" le sofferenze di singoli e di comunità e soprattutto di salvare il più alto numero di vite umane; l’efficienza che garantisca un effettivo aiuto alle popolazioni colpite. Per assicurare l'efficienza è necessario evitare le sovrapposizioni e le confusioni organizzative. L’efficacia dell’intervento non va misurato solo nelle sue dimensioni esteriori (successo tecnico), quanto invece sul numero delle persone effettivamente raggiunte; l’imparzialità, evitando che ci sia chi riceve troppo e chi troppo poco o nulla; il rispetto della sofferenza altrui, rifiutandone ogni strumentalizzazione, per vantaggi personali di qualsiasi tipo, fosse anche per ottenere una mobilitazione più vasta.

La preparazione chiede azioni rapide ed efficaci non si improvvisano: sono possibili solo se si è adeguatamente preparati.

Ciò significa in concreto: attuare una preparazione remota, dotandosi di strumenti adatti, di nuove competenze e di nuove collaborazioni; tenersi pronti ad intervenire in modo che le calamità, se possibile, non ci sorprendano impreparati. Questo vuol dire tener aggiornata la propria preparazione con iniziative adatte.

La partecipazione iniziale, di solito, molto vasta e sentita, dovuta anche all’emotività, creata dalla sciagura, deve essere aiutata a passare dal dono delle cose (aiuti) ad una vera partecipazione alle sofferenze altrui.

È necessario perciò che l’azione solidale sia accompagnata, passo passo, da una attività di animazione e di educazione che, in queste occasioni, può avere molta efficacia. Se è necessaria l’azione lo è altrettanto e di più l'educazione.

Il superamento della crisi di solidarietà può avvenire solo se contemporaneamente si lavora ai diversi livelli; a formare le coscienze, ad ispirare nuovi rapporti sociali individuali e collettivi, a cambiare la logica della propria vita. Si tratta di vincere la mentalità, assai diffusa, che scarica i pesi sugli altri, delegando a pochi l’adempimento di un dovere comune.

Dalle idee evangelicamente ispirate si passa ad una vera azione pedagogica capace di proporre, atteggiamenti e azioni che le traducano in atto.

Ecco, a titolo indicativo, alcuni suggerimenti: dare gratuitamente, la propria attenzione – guardarsi negli occhi! - e il proprio tempo, quello disponibile, sottraendolo alla fretta abituale che divora  le giornate e aprendolo invece  alla calma e all’ascolto; privilegiare il rapporto personale nel confronto delle "cose" da fare; dare la precedenza a chi sta peggio. - cercare i più abbandonati e i più deboli, quelli cioè che non riescono a farsi sentire; tener conto anche dei bisogni spirituali; accettare di collaborare con tutte le forze disponibili, apprezzando ogni opera compiuta da qualsiasi, anche da chi dice di non credere. L’esperienza insegna che lo Spirito suscita risposte, talvolta eroiche, in persone che nessuno pensava capaci di gesti, talora eroici, di altruismo.

Quanto sopra esposto a riguardo della comunità cristiana e della sua risposta all’emergenza tocca direttamente l’organismo pastorale della Caritas, ai diversi livelli, il suo ruolo e la sua azione, che qui si inseriscono a pieno titolo. Essa infatti è chiamata a svolgere una funzione prevalentemente pedagogica (art. 1 dello Statuto) nei confronti della comunità cristiana in ordine alla testimonianza di carità che essa deve dare.

In questa luce il compito della Caritas, anche nelle parrocchie, è molteplice: fare animazione offrendo, con un’informazione diretta ed il più possibile completa, i dati necessari per far conoscere il tipo di emergenza che si ha di fronte, la sua entità, le conseguenze che ha provocato e che può provocare; curare la formazione ecclesiale alla protezione civile, come strada concreta di risposta a chi è stato colpito dall’emergenza. In questo senso la protezione civile è uno dei canali utili all’azione concreta della Caritas. Può sembrare strano, a prima vista, che debba occuparsi di un tema e di un impegno così “laico” e così tecnico. Ma la carità concreta che l’emergenza richiede passa per queste strade. Infatti, in simili circostanze, o si entra in questi percorsi o la solidarietà che si vuol esprimere non riuscirà a raggiungere i destinatari e può rischiare di ridursi nella propria efficacia; armonizzare l’apporto della comunità cristiana con il piano generale degli aiuti che è compito primario della società civile e dello Stato. La comunità cristiana è invitata a rispettare criteri e priorità stabiliti dalle autorità competenti, purché non lesivi dei valori morali e dei diritti umani. Eventualmente si tratterà di integrarne le lacune e di stimolare particolari interventi per le categorie di persone in maggiore difficoltà e di denunciare, all’occorrenza, eventuali situazioni di ingiustizia, o di discriminazione nella distribuzione degli aiuti (clientelismi) o di sfruttamento, sotto varie forme.

Dunque l’emergenza è un’opportunità che la comunità cristiana deve cogliere per vivere la pastorale della carità evitando di aspettare, per il proprio impegno, occasioni che non verranno mai. Se per “missione” si intende “il coraggio di amare senza riserve immergendosi particolarmente nelle calamità e nelle urgenze del Paese”, il tempo dell’emergenza diventa per la comunità un tempo per la “missione”! la cui “anima è la carità”. Infatti “mettere a disposizione le proprie energie e i propri mezzi non può essere solo il frutto di uno slancio emotivo e contingente. Deve essere la conseguenza logica di una crescita nella comprensione della carità”. L’emergenza vissuta così, si può trasformare per la comunità cristiana in un tempo straordinario di grazia. Come Cristo, nella malattia del cieco nato, essa vi può ravvisare un’occasione perché “si manifestino le opere di Dio” (Giov. 9, 3).

LUCIANO BARONIO 05 mar 2020 12:46