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di ADRIANO BIANCHI 02 feb 2018 11:00 Ultimo aggiornamento 02 feb 2018 11:59

Denatalità: una questione culturale...

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Il tema della scarsa denatalità non è solo una questione politica. Decenni di opinion leaders radical chic hanno prodotto nei giovani l’idea che la genitorialità è un ostacolo e una diminuzione delle proprie aspirazioni di vita e della realizzazione dei propri progetti

Che l’Italia non sia più un Paese per giovani è risaputo. Chi non è stato raggiunto dai dati allarmanti del tasso di fecondità delle donne italiane? Nel 2016 il numero medio di figli per donna era di 1,26 (1,34 nel 2010), mentre per le cittadine straniere residenti in Italia era di 1,97 (2,43 nel 2010).

Nell’arco di 8 anni (dal 2008 al 2016) le nascite sono diminuite di oltre 100mila unità. L’istituto di statistica aggiunge che “il calo è attribuibile principalmente alle nascite da coppie di genitori entrambi italiani. I nati da questa tipologia di coppia scendono a 373.075 nel 2016 (oltre 107mila in meno in questo arco temporale). Ciò avviene soprattutto per due fattori: le donne italiane in età riproduttiva sono sempre meno numerose e mostrano una propensione decrescente ad avere figli”. L’analisi è impietosa. La denuncia altrettanto. Ne parlano i vescovi (e la Giornata nazionale per la vita del 4 febbraio sarà l’ennesima occasione), ma ormai ne parlano i sociologi, i giornalisti, ormai ne parlano anche i politici. Ne parlano...praticamente tutti.

In fondo c’è l’estinzione di un Paese, il suicidio economico e sociale di una comunità, la fine di una cultura e di un modello che genererà solo dei superstiti più poveri e tristi. Un Paese senza bambini è un Paese triste e senza speranza. In tempi di campagna elettorale gli appelli e le promesse non mancano, poche di queste mostrano vero coraggio nel voler affrontare la “vera” crisi del nostro sistema Paese, quella della natalità. Nelle promesse mirabolanti di queste settimane niente assomiglia a una energica “cura da cavallo” senza la quale questa nostra disgraziata nazione sarà condannata ad un collasso sociale ed economico.

Sono quasi convinto che gli italiani non farebbero più figli nemmeno se, per paradosso, da domani si desse a ogni bambino che nasce un “reddito di sopravvivenza” di 500 euro al mese fino alla maggiore età. Magari non basterebbe, ma aiuterebbe molto.

Il tema della scarsa natalità, infatti, non è solo questione politica. Le politiche familiari sono inesistenti in Italia e questo è grave. Ma quel che abbiamo perduto è il senso della maternità come valore in sé. Ciò che abbiamo perduto ha talmente inciso dal punto di vista culturale e sociale che per una ragazza e un ragazzo l’essere madre e padre non risuona più nel cuore e nella vita come una “buona notizia” che dà senso alla sua esistenza. Decenni di opinion leaders radical chic hanno prodotto nei giovani l’idea che la genitorialità è un ostacolo e una diminuzione delle proprie aspirazioni di vita e della realizzazione dei propri progetti.

Basta chiedere a qualche ventenne in quale posizione sia l’avere un bambino negli obiettivi della vita. Sempre dopo. E a volte talmente dopo che quando lo desidererà sarà troppo tardi. Talmente tardi che poi (magari oltre i quarant’anni) se ancora ci sarà la forza di mettere al mondo un bambino non ci sarà più l’energia per sostenerlo nella crescita, per dargli un fratello e una sorella perché crescano insieme. Perché a quarant’anni si è già troppo vecchi per essere genitori per la prima volta! E questo è un problema culturale.

Cosa servirebbe per cambiare direzione? Tutto. Che la politica imprima una rotta diversa, e il momento è questo. Sta nella legislazione la capacità di imprimere nuovi comportamenti e stili sociali. Cambiare verso sull’occupazione giovanile, sul sostegno alle famiglie, sull’educazione potrebbe essere utile. Serve, poi, una moratoria mediatica sulla “diffamazione culturale” dei modelli familiari tradizionali in atto da 50 anni e magari una creativa campagna comunicativa che racconti la bellezza di essere padri e madri oggi. Banalizzo. Qualche anno fa, fare il cuoco era un mestiere da “sfigati”. È bastato “Masterchef” e oggi è un mestiere di successo. Questo per dire che cambiare il modo di percepire le cose a volte è possibile. Non servono infine le battaglie di bandiera. O lo sforzo per la famiglia sarà di tutti o la partita è già persa in partenza.

ADRIANO BIANCHI 02 feb 2018 11:00 Ultimo aggiornamento 02 feb 2018 11:59