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di GIUSEPPE MARI 14 gen 2016 00:00

Famiglia e utero in affitto

Il 17 dicembre 2015 il Parlamento Europeo ha votato un testo che respinge radicalmente la pratica dell’“utero in affitto”

Il 17 dicembre 2015 il Parlamento Europeo ha votato un testo che respinge radicalmente la pratica dell’“utero in affitto”. Una decina di giorni prima aveva preso forma un appello pubblico che merita una lettura (http://www.cheliberta.it/2015/12/04/appello-che-liberta/) e che ha raccolto l’adesione di personalità – più e meno note – di diverso orientamento culturale, politico, ideologico.

Il testo – breve ma incisivo – esprime il chiaro rifiuto di questa pratica, motivato dal riconoscimento del fatto che fa tornare le donne “a essere oggetti a disposizione: non più del patriarca ma del mercato”. La precisazione del fatto che “i bambini non sono cose da vendere o da ‘donare’” chiarisce che il problema è costituito dal puro e semplice sfruttamento del corpo femminile e che – anche se la maternità surrogata viene associata al pagamento di un prezzo – va comunque rifiutata perché “i bambini diventano merce”. L’“utero in affitto” non può essere approvato “solo perché la tecnica lo rende possibile, e in nome di presunti diritti individuali”. Poche righe, ma di una chiarezza esemplare.

Mi sembra che questa presa di posizione sia di estrema importanza. Negli ultimi decenni è sembrato che l’avvenire fosse segnato fatalmente da una deriva tecnicista che, incrociando il desiderio individuale, diventava automaticamente diritto. Ora qualcuno si chiede se bastino la soggettività e la fattualità per identificare il bene e la risposta è negativa: c’è in gioco qualcosa che va oltre e che occorre riconoscere per tutelare l’originalità umana, l’originalità di chi non è oggetto ma persona.

Che cosa è in questione, il documento lo dice chiaramente: “Nessun essere umano può essere ridotto a mezzo”. Ecco quello che c’è in gioco! È importante notare che il principio secondo cui l’essere umano va sempre trattato come fine e mai come semplice mezzo è codificato sia da Tommaso d’Aquino (“dottore comune” della Chiesa cattolica) sia da Immanuel Kant (il maggiore filosofo illuminista). Ciò significa che, in un mondo sempre più frammentato, attorno a questo richiamo si possono raccogliere sia i cattolici sia i laici ossia i due raggruppamenti più rilevanti in seno alla cultura del nostro Paese. Vale la pena riflettere perché può diventare la piattaforma su cui edificare una civiltà che sappia coniugare la varietà dei punti di vista con l’unità dell’intento comune: custodire l’essere umano.
GIUSEPPE MARI 14 gen 2016 00:00