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di LUCIANO ZANARDINI 02 lug 2015 00:00

Inclusivi o esclusivi?

Se il Centro servizi per il volontariato investe ore e ore di formazione, il mondo che afferisce alle parrocchie ha invece messo in secondo piano la formazione

Inclusivo o esclusivo? Qualsiasi gruppo riconosciuto tende per sua natura a chiudersi in se stesso. Al suo interno individua giustamente i ruoli e, soprattutto, delimita gli spazi di competenza. Succede anche con le associazioni di volontariato. Ma la gestione affidata ad alcune persone richiede competenze e, soprattutto, un particolare carisma. Far sentire le altre persone al centro di un progetto è, forse, il compito più importante e allo stesso tempo più difficile. Molto spesso chi ha un incarico esige che gli altri lo seguano come un cadetto segue il suo istruttore… E se sul posto di lavoro in molti sono costretti a “fare la piega”, nel campo del volontariato non funziona in questo modo. Davanti alle prime incomprensioni o ai primi litigi si saluta velocemente il resto delle persone con le quali fino a poco prima si era condiviso un tratto di strada. E così anche il volontariato si circonda di malumori e di aloni di mistero. Lo sanno bene anche al Centro servizi per il volontariato dove in questi anni hanno investito molte ore sulla formazione e sulle motivazioni con corsi ad hoc.

Il Csv ha il merito di avere indicato la strada da percorrere, quella stessa strada un tempo costruita da tutte le realtà che afferiscono alle parrocchie. Oggi se guardiamo ai nostri oratori, sempre più orfani dei loro curati, diventa ancora più strategica la scelta formativa che in questi anni è stata un po’ accantonata. Se un educatore non comprende che il luogo in cui si muove parla attraverso il suo comportamento, ha sbagliato qualcosa; un educatore deve comprendere che in ogni gesto o in ogni azione, anche la più banale, si misura la sua testimonianza.

Le nostre parrocchie, qualora non lo fossero già, non possono correre il rischio di essere esclusive, non possono correre il rischio di essere un recinto per pochi. Sono spazi vivi che parlano attraverso la testimonianza di chi li abita e di chi all’interno opera; sono o dovrebbero essere uno specchio della comunità, ma oggi l’immagine che ne esce è molto opaca.

Capita spesso di ascoltare sacerdoti che si ritrovano costretti a dirimere questioni inutili tra adulti per non essere accusati di inoperosità. E, purtroppo, vengono misurati su questo più che sul messaggio che portano. Hanno però una grande responsabilità, quella di non aver “vigilato” sui “responsabili” dell’oratorio, sul loro modo di essere e fare oratorio.

Si sente l’urgenza di aprire le finestre, di cambiare l’aria e di superare quel carattere esclusivo che non porta da nessuna parte e che, nel medio-lungo periodo, assume le sembianze di un boomerang molto pericoloso. C’è molto lavoro da sbrigare, ma sappiamo anche che la tradizione bresciana in passato ha saputo trovare le risposte giuste. La scelta è tra essere inclusivi o esclusivi...
LUCIANO ZANARDINI 02 lug 2015 00:00