La mano e il bacio
“Ci sono cose che non puoi cancellare, ci sono abbracci che non devi sprecare. Ci sono sguardi pieni di silenzio che non sai descrivere con le parole. C’è quella rabbia di vederti cambiare e la fatica di doverlo accettare. Ci sono pagine di vita, pezzi di memoria che non so dimenticare. Eeee… è ancora un altro giorno insieme a te, per restituirti tutta questa vita che mi hai dato e sorridere del tempo e di come ci ha cambiato. Quando sarai piccola ti stringerò talmente forte che non avrai paura nemmeno della morte. Tu mi darai la tua mano, io un bacio sulla fronte”. Il testo di Simone Cristicchi al Festival di Sanremo in “Quando sarai piccola” provoca, come scriveva Pascoli in L’assiuolo, nel cuore un sussulto. Il cantautore, protagonista dello spettacolo Franciscus, con un crescendo teatrale parla di amore e di compassione nei confronti di chi soffre e di chi viene sballottato dai grandi terremoti dell’esistenza. Emerge ancora una volta la sua sensibilità nell’affrontare un tema così delicato. “È una specie di poesia, di lettera d’amore che io scrivo a un’ipotetica madre che, invecchiando, ritorna bambina. Quando succede nel ciclo della vita, noi figli ci ritroviamo ad essere improvvisamente i genitori dei nostri genitori”. Il suo è un inno alla vita che trova la sua massima espressione nel prendersi cura dell’altro.
Un’antica lezione di umanità che forse abbiamo un po’ smarrito. Di fronte alle malattie e all’invecchiamento, siamo impreparati, ma è normale che sia così. È meno accettabile, però, reggere da soli il peso della fatica fisica e psicologica. Da Sanremo arriva, tra i tanti spunti, anche un altro cantico che aiuta a riflettere. In “L’albero delle noci”, Brunori Sas rivela l’insicurezza diffusa che accompagna la genitorialità, in un tempo come il nostro in cui abbiamo perso l’entusiasmo per la maternità e la paternità: le guardiamo come fonte di problemi, più che come lo spalancarsi, direbbe il Papa, di un nuovo orizzonte di creatività e di felicità. Anche in questo caso l’amore vince la ritrosia, la paura di non essere mai pronti: “E ora ti vedo camminare con la manina in quella di tua madre. E tutta questa felicità forse la posso sostenere. Perché hai cambiato l’architettura e le proporzioni del mio cuore”. Non ci stancheremo mai di ripetere che dobbiamo riscoprire il senso di una comunità che si prende cura, insieme, delle persone. E da questo punto di vista come comunità cristiana (esiste ancora? In che forma? Ama ritrovarsi attorno alla stessa Mensa?) abbiamo il dovere di un cambio di passo.
