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di CLAUDIO PAGANINI 04 ago 2025 14:00

Li ho visti e ho pianto con loro

Li ho visti. Centinaia di ragazzi e ragazze, vestiti tutti allo stesso modo: maglietta e pantaloni neri. Li ho visti e mi hanno colpito. Erano tantissimi, radunati nella chiesa di Cellatica e sul sagrato, in attesa che arrivasse il corpo del loro amico Marco, morto due giorni prima in un incidente con il motorino. Mi hanno toccato nel profondo perché sembravano pecore senza pastore. Nessun “capo branco”, nessuna regia adulta. Solo un dolore condiviso, muto, composto. Eppure, capaci di autoconvocarsi, la sera prima, per vivere il lutto a modo loro. Sui gradini della chiesa di Gussago avevano preparato un lenzuolo con scritto “Ciao Marco”. Avevano portato fiori, candele, e ascoltato insieme Albachiara di Vasco Rossi. Poi solo il rumore degli scooter che “davano gas”, coprendo i singhiozzi. In quella moderna Agorà nessun Dio ignoto. Nessun adulto presente. Né insegnanti, né educatori, né sacerdoti. Eppure quella preghiera laica era la loro forma di ricerca. Non sono più i ragazzi del muretto. Non sono una generazione indolente o sconosciuta.

Sono i ragazzi del nostro tempo: nomadi e cercatori. Corrono. Corrono sugli scooter, su internet, nella vita. Bruciano tappe, emozioni, esperienze. Ma la corsa, troppo spesso, si interrompe. Incidenti, malattie, drammi familiari. E restano soli, senza qualcuno che li aiuti a rielaborare il lutto, il senso del viaggio, della vita, delle realtà ultime. Con loro ho pianto. E ho pensato alle nostre responsabilità di adulti ed educatori. È vero, era il 31 luglio: ci sono le vacanze, l’estate, ma la morte non si programma. E non saranno i nostri discorsi fatti sempre dopo, i convegni, i progetti ben scritti dalle reti pedagogiche, a dare loro speranza. Servirebbe solo qualcuno in mezzo a loro. Qualcuno che li ascolti e li ami per quello che sono. Qualcuno che non pretenda nulla, se non la verità di un volto, di un sorriso, di un pianto, di un abbraccio. Questa mancanza di umanità relazionale è, forse, la sintesi più drammatica del nostro tempo. Ma li ho visti. Li ho visti quando diventano irascibili, scontrosi, difficili. E li ho visti anche quando il dolore li spezza e sanno solo piangere. Ho pianto con loro, e forse, in quel momento, era l’unica cosa vera che un adulto potesse fare. Ci sono istanti in cui le parole non bastano, in cui tutto è troppo complesso da spiegare. E in quei momenti, piangere insieme è già una forma di amore. L’unica possibile!

(Foto Marco Ortogni - Neg)

CLAUDIO PAGANINI 04 ago 2025 14:00