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di CLAUDIO PAGANINI 03 dic 2015 00:00

Parlare con il campo

Se tutti parlassimo col campo, diremmo molte meno sciocchezze in pubblico

Non sono certamente gli atleti i migliori opinionisti da ascoltare. Pochi possiedono contenuti culturali di spessore e buone capacità comunicative. La maggioranza degli sportivi, invece, non riesce proprio a essere accattivante quando apre la bocca. Un po’ come le prediche senza tempo e senza idee. Una frase tipica utilizzata in queste situazioni, inventata a puntino, è che gli atleti “sanno e devono parlare con il campo”. Come dire che il loro specifico contributo alla riflessione è la prestazione ottenuta sul campo gara attraverso una settimana intensa di preparazione fisica, mentale, alimentare e motivazionale. Parlare con il campo, diventa allora parlare attraverso i risultati sportivi conseguiti; la concretezza di quanto viene raggiunto sul campo gara, ed è l’unico aspetto veramente importante, vale molto più delle chiacchiere televisive sciolinate dai giornalisti. Da sempre e così! Ora però, anche Papa Francesco fornisce un supporto teorico con questo modo di dire.

Parlando a Firenze, ha detto: “Ricordatevi che il modo migliore per dialogare non è quello di parlare e discutere, ma è quello di fare qualcosa insieme, di costruire insieme… per favore, non guardate dal balcone la vita, ma impegnatevi.” Dunque, meno parole e chiacchiere inutili, ma declinare l’impegno del “fare qualcosa”. Sportivi in primis e con essi tutti gli uomini di buona volontà, sono chiamati a “parlare con il campo”. Un primo “fare qualcosa”, ritengo, sia il fare bene il proprio dovere. Ciascuno nel suo campo. Dalle nostre opere saremo giudicati ci ricorda San Paolo.Un secondo “fare qualcosa” potrebbe essere declinato all’interno della propria squadra. Della comunità dove si vive lo sport, il lavoro, la scuola, la fede e la famiglia. Gli altri sono un dono per noi non un problema; sono una sfida e non un ostacolo a realizzare vittorie.

Un terzo “fare qualcosa” appartiene alla trascendenza. Dopo gli attentati a Parigi, anche allo stadio Rigamonti si vissuto un momento di silenzio prima della partita; è venuta la pelle d’oca agli ottomila tifosi presenti per quel silenzio assoluto che domandava al cielo una presenza per zittire la stupidità umana. Nel silenzio si tace perché l’altro parli; si ascolta Dio e la legge degli uomini perché sia il campo del vissuto umano a parlare e raccontare il desiderio di pace di amore fra i popoli. Forse è sperare troppo, ma se tutti parlassimo col campo, diremmo molte meno sciocchezze in pubblico.
CLAUDIO PAGANINI 03 dic 2015 00:00