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di CLAUDIO PAGANINI 29 ott 2015 00:00

Preti sportivamente soli

Si preferisce lo sport individuale perché il cuore, la passione pastorale, le amicizie… non sanno più trasformarsi in vita comune?

L’attività sportiva, indubbiamente, è un bene in se stessa. Non ha importanza quale sia lo sport praticato, certamente procurerà benefici alla salute ed al proprio diletto personale. Anche dei sacerdoti. Ne conosco molti che pur abbondantemente oltre gli “anta” di età si dilettano con le attività fisiche. Lo dicono anche i medici che oltre i cinquant’anni è indispensabile mangiar sano e praticare sport.

Qualcuno nella pausa pranzo va in piscina. Qualcun altro esce un paio d’ore con la bicicletta nel primo pomeriggio. C’è chi poi ama correre 40 minuti ogni mattina, dalle 6.30 in poi. Conosco altri che trascorrono ogni lunedì sui campi da sci. E quanti amano della montagna si concedono lunghe passeggiate in Val Camonica. Gli scacchi, il calciobalilla e il tennistavolo, non sono classificati tra gli sport preferiti dei sacerdoti.
Dunque lo sport è di casa nelle canoniche; ma un po’ meno la vita comunitaria sportiva. Basti sapere che, per tre volte nell’ultimo anno, non sono riuscito a mettere insieme una squadra di sacerdoti calciatori. Il dato è preoccupante, soprattutto considerando chi tutti i sacerdoti ultrasettantenni hanno amato e praticato il calcio.

E pensare che in Polonia ho conosciuto sacerdoti che ogni giovedì percorrono fino ad 80 km per giocare a pallone in seminario. Il luogo della formazione giovanile diventa luogo d’incontro, di svago, di ritorno alle radici della propria scelta vocazionale. Certo che a Brescia non saprebbero dove andare visto i molti cambi di ambienti formativi. A Roma ho conosciuto chierici di interi collegi pontifici attivi nel ripulire scantinati e campi da gioco pur di allenarsi insieme verso la Clericus Cup. Anche ad Haiti come a Sidney il gioco del pallone l’ho visto praticato da sacerdoti come momento ricreativo e formativo, modello di collaborazione e condivisione degli obiettivi (goal) pastorali.

Forse, la mancanza di una squadra di calcio di “don”, consegue al troppo individualismo? Si preferisce lo sport individuale perché il cuore, la passione pastorale, le amicizie… non sanno più trasformarsi in vita comune?
Il timore è che si non si impara a stare con gli altri vivendo allo stesso modo il servizio alla chiesa e il rapporto amicale tra confratelli, sarà molto difficile creare unità pastorali, case per la vita comune, spazi condivisi di vita e di fede. Anche in questo lo sport fotografa la realtà e orienta le scelte per i cammini futuri.
CLAUDIO PAGANINI 29 ott 2015 00:00