Un uomo normale
Feci il numero di casa Pizzul e mi rispose Bruno. Mi sembrava di essere dentro una telecronaca, con quella voce scandita e la dizione perfetta. In realtà mi sentii a casa: immediatamente accettò l’invito di venire a Brescia per una serata dedicata allo sport, in cui restò memorabile la sua cronaca ad una moviola improvvisata in una pièce teatrale da oratorio. Con Bruno bisognava sempre fare due cose: cenare con vino molto buono e riportarlo a casa, perché non aveva mai preso la patente. Lui diceva per pigrizia, io avrei scommesso per amicizia, perché gli piaceva parlare con le persone e starci, molto di più dello spazio di un collegamento televisivo. Confidava che il dolore più angoscioso che continuava a provare “per la sua coscienza di uomo” era la notte dell’Heysel, perché “non è possibile andare a fare la telecronaca e dover parlare di 39 morti”. E il suo orgoglio più grande era quando qualcuno dei ragazzi seguiti da sua figlia Carla, assistente sociale, lo salutava: “Ciao, nonno”. Grazie Bruno, perché sei rimasto un uomo normale a cui è piaciuto molto di più vivere la vita che commentarla.
