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Roma
di GIGLIOLA ALFARO 27 mar 2020 20:00

Bellissimo sentire il Papa così vicino

La Chiesa ha vissuto un “momento di grazia straordinario”: Papa Francesco ha presieduto un momento di preghiera sul sagrato della basilica di San Pietro. Con don Maurizio Patriciello, parroco di Caivano, nella cosiddetta Terra dei fuochi, riflettiamo su quest’ora difficile che vive il mondo, dalla prospettiva di una Regione, la Campania, che vive con molta ansia l’avanzare del contagio

La Chiesa ha vissuto un “momento di grazia straordinario”: Papa Francesco ha presieduto un momento di preghiera sul sagrato della basilica di San Pietro, con la piazza vuota per elevare a Dio una supplica, in un periodo particolare, “dove il mondo è in ginocchio per la pandemia”, e “vivere con fede e speranza questo tempo di sofferenza e paura”. Con don Maurizio Patriciello, parroco di Caivano, nella cosiddetta Terra dei fuochi, riflettiamo su quest’ora difficile che vive il mondo, dalla prospettiva di una Regione, la Campania, che vive con molta ansia l’avanzare del contagio.

Don Maurizio, in queste ore di sconforto quanto sono importanti questi momenti di preghiera con il Santo Padre?

È bellissimo sentire il Papa così vicino a tutti quanti noi in questo momento, abbiamo bisogno di guardare verso di lui, credenti e non credenti di buona volontà. Papa Francesco sa che in questo momento tante persone soffrono non solo nel corpo, ma che a livello psicologico tante persone più fragili cominciano a cedere e hanno bisogno di trovare in lui il padre buono che intercede presso il Padre dei cieli. Questo da un punto di vista squisitamente umano e psicologico. Dal punto di vista spirituale, sappiamo l’importanza della preghiera: Gesù ha detto che quando le persone si mettono insieme a pregare succede sempre qualcosa di grande. Stasera con il Papa pregherà la Chiesa in tutto il mondo e ci aspettiamo che il Signore intervenga. Qualche teologo cristiano manifesta una difficoltà di fronte al fatto che tutti noi sacerdoti stiamo celebrando messe on line, sostenendo che questa insistenza nella preghiera nasca dall’idea che l’epidemia è un castigo di Dio e attraverso la preghiera chiediamo che ritiri il castigo.

E lei che ne pensa?

Non è vero, non è questa la chiave di lettura: questo virus che ci sta tormentando non è un castigo di Dio, ma Gesù ci ha invitato a pregare: “Chiedete e vi sarà dato; cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto”. Gesù ci ha detto di camminare sulle acque quando umanamente è impossibile farlo, domenica prossima il Vangelo ci racconterà di un morto che tornerà in vita e Gesù che piange con le sorelle di Lazzaro condividendo il loro dolore. Dio non ci ha certamente castigati ma è accanto a noi a sopportare questa tragedia. E nel Vangelo dell’Annunciazione, l’Angelo prima di andare via da Maria le ricorda che a Dio nulla è impossibile. La Chiesa chiede e Dio ascolta sempre le nostre preghiere anche se le Sue risposte non sono come noi magari le avremmo volute. Noi continuiamo a pregare. Farlo insieme al Papa è una grazia immensa. Abbiamo bisogno di lui, dei nostri vescovi, che stamattina saranno nei nostri cimiteri, anche il mio in quello di Aversa, per pregare per i nostri defunti.


Alla paura della malattia si accompagna lo strazio di come si muore…

Sì, la parte più brutta di questa pandemia è il morire disumano, senza una persona accanto, e l’essere portati al camposanto da soli, con i familiari chiusi in casa e impossibilitati a dare l’ultimo saluto. È l’aspetto più doloroso. Tutto ciò ci deve riflettere su tanti valori che spesso si danno per scontati, invece niente è scontato, tutto è un dono. Forse non ci siamo mai sognati di ringraziare l’acqua, l’aria, considerate come cose naturali, ma forse di naturale non esiste niente, noi siamo immersi nel soprannaturale, siamo tutto un miracolo e la nostra vita è un miracolo dal primo istante e ora ci scivola tra le mani. Allora, questo momento stasera con Papa Francesco è bellissimo, insieme con noi sta sperando che la pandemia finisca e invoca il nostro Dio, il Padre che è nei Cieli e che non è stato mai avaro con noi. Questo dà una grande gioia e una grande speranza.


Oggi è diventato più forte il desiderio di pregare…

Questo sì, succede quando l’uomo si trova di fronte al mistero della morte… Io sono diventato prete anche perché ho lavorato dieci anni in ospedale come infermiere. Mi ricordo che un giorno ero andato di mattina in ospedale per il mio turno quando portarono un ragazzo di qualche anno più giovane di me, colpito da una scossa elettrica nell’officina dove lavorava. Malgrado i tentativi per salvarlo, quel ragazzo morì: ognuno reagì in un modo diverso, chi si fumò una sigaretta, chi preparò un caffè. Io rimasi dietro il paravento accanto al morto e pensai che questo ragazzo si era svegliato come me, si era lavato come me, era uscito per andare a lavorare come me e mai poteva immaginare che quelle erano le sue ultime ore. Allora, mi chiesi: “Signore, adesso dov’è? Vive in qualche modo?”. Il mistero della morte è un dolore immenso che non deve essere sciupato. Adesso che l’avvertiamo con maggiore intensità, con maggiore ansia, tanta gente alza gli occhi verso il cielo e dice: “Signore, aiutaci”.


Lei che è parroco a Caivano, ma è stato anche infermiere, quando vede i disastri provocati dall’epidemia al Nord dove la sanità funziona, cosa teme per il Sud?

Ho paura perché la nostra sanità non è paragonabile minimamente a quella del Nord. Dio non voglia che succeda qua quello che è successo a Bergamo, sarebbe una strage. Quando il presidente della Regione Campania, Vincenzo De Luca, alza la voce fa bene sia perché si rende conto della gravità del male sia perché sa molto bene che la nostra sanità non potrebbe far fronte a una eventuale ondata di contagi come al Nord. Per questo preghiamo giorno e notte. Quello che impressiona in questa pandemia sono i numeri di persone che si contagiano e hanno bisogno di cure, ma non c’è ancora il farmaco, i letti in terapia intensiva sono esauriti. È disumano dover scegliere tra pazienti chi tentare di salvare. Io prego per medici e infermieri perché non si trovino a dover fare scelte del genere. Così come pure se dalle cure dovessero essere scartati i disabili, è atroce. Se imboccassimo questa strada alla fine di questa guerra ci troveremmo con i cocci in mano. Ed è terribile che dopo un mese dallo scoppio dell’epidemia accogliamo queste notizie già rassegnati. Non è difficile immaginare come stanno vivendo questo dramma i nostri anziani, si sentono quasi in colpa di sopravvivere, di essere portati in ospedale, di togliere forse il letto a un giovane. Purtroppo, questo perché in passato sono stati tagliati i conti alla sanità in un modo spaventoso e alla sanità pubblica è stata preferita quella privata. È una politica sulla quale in futuro bisognerà riflettere tanto.


Ha pensato in questa emergenza di ritornare in corsia come infermiere?

Ci ho pensato, ma in questa emergenza dobbiamo essere di aiuto agli altri. Quando ci fu il terremoto dell’Irpinia, sentivo che il Signore mi diceva di andare: sono corso e ho fatto quel che potevo come volontario. Oggi sento che il Signore mi chiede di restare qui. Io so che il mio dovere è amare. E come si concretizza? Potrei correre in ospedale, ma non lavorando da tanti anni potrei essere più un peso, o invece restare qui a pregare. Così ho fatto: ogni giorno celebro la messa on line, che è seguita da 5/6mila persone. Anche se è doloroso celebrare da soli davanti a un telefonino, penso anche che prima a messa venivano cinquanta persone. Tutto concorre al bene di coloro che amano il Signore. L’uomo raccoglie anche i frutti di quello che semina, ma Dio non castiga, ci chiama alla vita, non vuole la morte del peccatore ma che si converta e viva. Il Signore sa ricavare il bene da qualsiasi situazione. Se il chicco di grano caduto a terra non muore, non nasce la spiga di grano: ora da queste migliaia di chicchi che stanno cadendo a terra per il coronavirus può nascere un’umanità nuova. Questa sciagura, per chi sopravviverà, dividerà in due l’esistenza, come succede con una guerra, in un prima e in un dopo. Spero che nulla vada perduto di tanta sofferenza, di tante lacrime, di tanta angoscia e che nasca un’umanità migliore.

GIGLIOLA ALFARO 27 mar 2020 20:00