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Roma
di DOMINIQUE WOLTON 23 apr 2018 12:13

Dio è un poeta

Nel corso di un intero anno, Dominique Wolton, sociologo francese, è stato ricevuto dodici volte dal Papa. Il risultato di questi incontri è un’intervista in cui Francesco affronta i temi cruciali del nostro tempo e del suo pontificato. L'anticipazione al Sir di alcuni passaggi del libro, edizione Rizzoli, "Dio è un poeta. Un dialogo inedito sulla politica e la società”

Oggi come oggi, come potrebbe contribuire la Chiesa alla globalizzazione?

Con il dialogo. Sono convinto che ai giorni nostri niente sia possibile senza dialogo. A patto che si tratti di un dialogo sincero, anche se bisogna dirsi in faccia cose sgradevoli. Sincero: non un dialogo del tipo «va bene, siamo d’accordo», e poi dietro le spalle si afferma tutto il contrario. Credo che la Chiesa debba contribuire costruendo dei ponti. E il dialogo è il "grande ponte" tra le culture. Ieri, per esempio, ho parlato per cinquanta minuti con Shimon Peres, novantatré anni. È un uomo che ha una visione, e per tutto il nostro dialogo non abbiamo fatto altro che costruire ponti qua e là. Mi sentivo davvero di fronte a un grande, uno che condivide questa idea che la Chiesa debba costruire ponti, ponti e ancora ponti…

Per la pace nel mondo, che cosa potrebbe fare la Chiesa più dell’ONU? 
So che l’Onu fa molte cose buone. Sento anche le critiche, le critiche di fondo che rivolgono contro se stessi. In questa assemblea, che tra poco deve eleggere il prossimo segretario o la prossima segretaria generale, c’è una corrente di sana autocritica che sostiene la necessità di "parlare meno e agire di più". Infatti il pericolo, tanto per la Chiesa che per l’Onu, è quello del nominalismo: accontentarsi di dire "bisogna fare questo e quello", poi avere la coscienza tranquilla e fare poco e niente. Resta il fatto che l’Onu e la Chiesa sono due cose diverse. L’Onu dovrebbe avere più autorità, globale e fisica. La Chiesa è solo ed esclusivamente un’autorità morale. E l’autorità morale della Chiesa dipende dalla testimonianza dei suoi membri, dei cristiani. Se i cristiani non danno testimonianza, se i preti diventano degli affaristi e degli arrivisti, se i vescovi fanno altrettanto… o ancora se i cristiani cercano sempre di sfruttare il prossimo, se pagano "in nero" e non si preoccupano della giustizia sociale, non si comportano da fedeli. Dare testimonianza è un atto necessario in entrambe le istituzioni, ma soprattutto nella Chiesa. L’Onu deve prendere delle decisioni, elaborare un piano valido e metterlo in atto. E non semplicemente annunciarlo. Ma in effetti tutte e due corrono il rischio del nominalismo. Platone, nel Gorgia, parlando dell’informazione, dei sofisti, disse più o meno questo: "I discorsi dei sofisti stanno alla politica come il trucco sta alla salute…".

Dov’è Dio nella globalizzazione?
Nella globalizzazione, così come la intendo io (quella a forma di poliedro), Dio è ovunque, in tutte le cose. In ogni persona che dà qualcosa di sé e porta un contributo al tutto. In ogni Paese e nel tutto. La sua, tuttavia (e qui parlo in quanto cattolico), è una domanda che si rivolge a san Basilio di Cesarea e va al di là di san Basilio. Chi è che fa l’unità della Chiesa e chi è che ne fa le differenze? Lo Spirito Santo. Il Dio che instaura le differenze, cioè le singolarità, questa varietà così grande e bella, è lo stesso che stabilisce poi l’armonia. Ecco perché san Basilio dice dello Spirito Santo che è l’armonia. Dio crea l’armonia nella globalizzazione.

Come conciliare diplomazia ed evangelizzazione? 

L’evangelizzazione è un mandato di Gesù Cristo, mentre la diplomazia è un comportamento, un mestiere nobile. Le due cose non sono allo stesso livello.

Vuol dire che la diplomazia è fatta di rapporti di forza, mentre l’evangelizzazione di rapporti di uguaglianza? 
No, non credo che sia proprio così. Perché anche nella diplomazia ci sono rapporti di fraternità. Ci sono relazioni basate sul "cercare qualcosa insieme", c’è un dialogo; la diplomazia intelligente esiste eccome. D’altro canto, anche i metodi di evangelizzazione possono essere sbagliati.

Spesso si rimprovera alla Chiesa di condannare con più fermezza la violenza rispetto alle disuguaglianze. Di usare due pesi e due misure. 
Può darsi, ma per quanto mi riguarda parlo chiaramente e con forza dell’una e delle altre.

Ciò non toglie che, storicamente, la Chiesa si sia mostrata più indulgente con i governi conservatori e più preoccupata di fronte ai governi di sinistra. O progressisti, se vogliamo… 
Tutti e due hanno fatto cose buone, così come hanno fatto i loro sbagli. Ma il Vangelo parla chiaro: siamo tutti figli di Dio, e chi si credeva il meno giusto è diventato il più giusto. Il più grande dei peccatori, Gesù lo porta verso l’alto. Ristabilisce l’uguaglianza fin da principio. Per quanto riguarda la violenza… pensiamo alle grandi dittature del secolo scorso. In Germania c’erano cristiani che non vedevano di cattivo occhio Hitler, ma ce n’erano altri che sapevano benissimo che razza di persona era. Stessa cosa qui in Italia. E se parliamo della violenza delle dittature… le violenze sono tante. Io però ho più paura della violenza in guanti bianchi che di quella diretta. La violenza di tutti i giorni, quella fatta ai domestici, per esempio!

Come evitare che la globalizzazione diventi sinonimo di disuguaglianza e aumento delle ricchezze solo per alcuni? 
Nel mondo di oggi, 62 super-ricchi possiedono la stessa ricchezza di 3,5 miliardi di poveri. Nel mondo di oggi ci sono 871 milioni di affamati. E 250 milioni di migranti che non hanno nessun posto dove andare, che non hanno niente. Il traffico di droga oggi ha un giro d’affari di circa 300 miliardi di dollari. E secondo le stime ci sono 2400 miliardi di dollari che «svolazzano» nei paradisi fiscali, circolando da un posto all’altro.

La Chiesa condanna da tempo il capitalismo selvaggio, ci sono testi e dichiarazioni che lo dimostrano. Perché nel mondo questo messaggio rimane perlopiù inascoltato? La gente non sa o si rifiuta di ascoltare e di capire? Cosa si dovrebbe fare per condannare il dilagare del capitalismo selvaggio, accelerato dalla globalizzazione?
Pensi agli attuali movimenti dei lavoratori. Nel mondo intero c’è un risveglio dei movimenti popolari. Alcuni di loro vengono piantati in asso perfino dai sindacalisti, perché i sindacalisti possono provenire dalle classi dominanti, o perlomeno dalle classi medie superiori. Si tratta di un movimento forte che reclama i propri diritti. In certi Paesi però deve scontrarsi con una repressione brutale, al punto che, a farsi sentire troppo, si rischia la vita. Una delle dirigenti di un movimento popolare, che ha partecipato al primo movimento popolare che si è espresso in Vaticano, è stata uccisa in America centrale… È difficile, ecco perché, quando i poveri si uniscono, insieme hanno una grande forza. Una forza anche religiosa.

Pensa che la crescita delle disuguaglianze nel contesto della globalizzazione possa favorire un ritorno della teologia della liberazione? 
Preferirei non parlare della teologia della liberazione degli anni Settanta, perché è un fenomeno caratteristico dell’America latina. In ogni teologia vera e giusta, comunque, c’è sempre una dimensione di liberazione; la memoria del popolo di Israele comincia con la liberazione dall’Egitto, no? La liberazione dalla schiavitù. La storia della Chiesa, e non solo della Chiesa ma dell’umanità intera, è piena di oppressori, di una minoranza che domina.

Verissimo, ma ora, con la globalizzazione e la globalizzazione dell’informazione, possono vederlo tutti ogni giorno. Nella Storia non era mai successo niente di simile.
Questa è una faccenda di peccato… E in questo caso dobbiamo risalire all’origine della facoltà di peccare o alla radice del peccato insito in tutti noi. Senza cadere nel pessimismo perché c’è stata la redenzione di Gesù Cristo, la quale è appunto trionfo sul peccato, l’origine è lì, la ferita è lì, la possibilità è lì. Se tu sei povero e io sono ricco e voglio dominare ogni cosa, ti corrompo, e attraverso la tua corruzione ti domino.
Sono convinto che la corruzione sia il metodo utilizzato da una minoranza in possesso della forza e del denaro per colpire la maggioranza.

A proposito della misericordia, lei ha detto una frase molto bella: «La misericordia è un viaggio dal cuore alle mani». 
È verissimo. Credo che la misericordia sia al centro del Vangelo. Qual è il consiglio che ci dà Gesù? "Siate misericordiosi come il Padre". Ma per fare questo viaggio il cuore deve lasciarsi toccare dalla compassione, dalla miseria umana e da qualsiasi forma di miseria. È solo così che può cominciare il suo viaggio.

In che modo la misericordia può aprire un nuovo cammino in questo mondo di competizione e violenza? 
Parliamo au niveau de la simplicité, al livello della semplicità: la cosa importante, mi sembra, sono le opere. In questo mondo di violenza, per esempio, ci sono tante donne e tanti uomini, preti, suore e religiose che si dedicano agli ospedali, alle scuole… Ci sono così tante persone perbene, e tutte loro sono uno schiaffo in faccia alla società. La loro è una forma di testimonianza: "Io consumo la mia vita". Quando andiamo nei cimiteri africani e vediamo tutti quei morti, quei missionari, soprattutto francesi, morti giovani, a quarant’anni, perché contraevano la malaria… La ricchezza della misericordia commuove. E le persone, quando ne ricevono testimonianza, capiscono e cambiano. Vogliono essere migliori… oppure uccidono colui che dà testimonianza! Perché vengono travolti dall’odio. Testimoniare comporta questo rischio. Le ho raccontato cosa ho visto in Africa centrale? Una suora, che avrà avuto ottantatré o ottantaquattro anni, con una bambina di cinque anni. L’ho salutata: "Di dove sei?". "Abito laggiù, sono venuta stamattina in canoa". A ottantatré, ottantaquattro anni! «Vengo ogni settimana per fare la spesa. Vivo qui da quando ho ventitré anni, sono infermiera e ho fatto nascere 2300 bambini. La madre di questa povera piccola è morta di parto, lei non aveva nemmeno il padre, così l’ho adottata legalmente. Mi chiama mamma.» Questa è tenerezza allo stato puro. Dedizione. Una vita intera! Le opere dei misericordiosi. Per me, far visita ai malati, andare nelle prigioni e far sentire ai carcerati che possono sperare di reinserirsi nella società, è questa la predicazione della Chiesa. La Chiesa predica più con le mani che con le parole.

DOMINIQUE WOLTON 23 apr 2018 12:13